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| 11 gennaio 2019, 08:00

I LENIN! contro il sistema musicale: “Andate ai concerti, non su Spotify”

L’intervista alla band genovese che riporta in auge gli anni ‘90

I LENIN! contro il sistema musicale: “Andate ai concerti, non su Spotify”

 

I LENIN! in una parola sola: irriverenti. Quel genere di band “non-band” a cui del sistema non importa proprio niente. Ragazzi semplici: niente maschere, niente filtri, nessuna impostazione. Loro sono questo e se non vi sta bene è un problema vostro. Nascono nel 2015 per puro caso e - per puro caso - continuano a divertirsi insieme. Mi raccontano della loro formazione, della loro storia, ma soprattutto del loro attaccamento agli anni ‘90: un periodo storico denso al quale sono molto legati e dal quale faticano a distaccarsi. Gli anni ‘90 li hanno formati, plasmati e continuano a influenzarli rendendo ostico il loro rapporto con la musica attuale.

I LENIN! sono Francesco Conelli (voce e chitarra), Simone Mainardi (basso e voce), Lorenzo Paul Santagada (batteria) e Pietro Bonuzzi (chitarra, tastiera e voce) e sono tutto fuorché autocelebrativi, come il sistema li vorrebbe.

Nella loro biografia leggo e chiedo a proposito della rivoluzione che tanto si augurano di vedere nella musica, in primis quella italiana. E se il mondo della discografia odierno vuole l’artista famoso online, i LENIN! ripudiano tutto ciò che è ascolto digitale e preferiscono stare su un palco piuttosto che su una piattaforma. “Vorremmo che la gente andasse ai live e si divertisse ai concerti, come succedeva una volta - mi spiega in tutta sincerità Francesco - diciamocelo, essere famosi su Internet equivale a essere ricchi a Monopoly. Un numero su Spotify non farà mai di te una rockstar”.

Non le mandano a dire, i LENIN!. Parlano dell’Indie e della Trap come fenomeni con cui hanno poco da spartire. “L’Indie di oggi è irritante - spiega Francesco - una volta faceva parte di una cultura underground. Ricordo di gruppi che suonavano in luoghi atipici e lo facevano per un pubblico di nicchia. Oggi di Indie è rimasto ben poco - continua - il nome fa tendenza ma è soltanto un Pop realizzato con pochi soldi, quindi di bassa qualità. Negli anni ‘90 i gruppi indie erano contro i potenti - conclude - oggi è proprio l’Indie stesso ad essere uno di loro”.

La musica, secondo il gruppo, sta perdendo - o forse ha già perso del tutto - quella capacità di comunicare importanti messaggi, tra sfoghi sociali e speranze giovanili che un tempo bussavano alle porte dei ragazzi, chiusi nelle loro camerette. Oggi la musica si concentra sull’immagine di se stessa, ha a cuore le condivisioni, l’engagement e soprattutto il denaro: non si parla più di ricchezza interiore e di urla nei microfoni ma tutto viene ridotto al concetto di materiale. La musica stessa è diventata un oggetto materiale.

Ma non si scoraggiano. Ci provano con tutte le loro forze a nuotare in un mare di piranha assetati di successo e lo fanno con semplicità. “Siamo ancora quel genere di persone da tramezzino e Moretti - mi dice Simone - detestiamo gli hipsters e tutto ciò che è costruito”. E anche l’etichetta discografica di cui fanno parte rispecchia molto la loro filosofia: “Pioggia Rossa Dischi nasce come collettivo di band - spiega Lorenzo - L’etichetta “non-etichetta”, di cui siamo co-fondatori insieme a L’Ultimodeimieicani, ha come scopo quello di ridare potere alle chitarre, come avveniva in passato. Oggi c’è troppa finzione nella musica, viviamo un periodo storico in cui se non canti con l’Auto-Tune non sei nessuno”.

Cosa aspettarci, dunque, nel prossimo futuro? “Lo scorso novembre abbiamo abbozzato un EP di cui siamo molto entusiasti - racconta Francesco - il lavoro verrà registrato fisicamente a fine gennaio e sarà pronto per l’inizio dell’estate. Abbiamo alcuni accordi - rivela - ma di cui non vogliamo dire niente per scaramanzia”.

Giovanna Ghiglione

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