- 09 gennaio 2019, 17:16

Lo studio First Cisl che getta ombre sulla possibilità di ripresa per Carige

Secondo il lavoro curato dal sindacato è necessario il rilancio delle filiali: "Ripresa impossibile con filiali svuotate, cessione utp porta nuovi danni"

“I commissari di Carige sostengono che la ripresa dovrà passare attraverso il rilancio dell’attività commerciale con le famiglie e con le imprese del territorio: siamo d’accordo, ma senza rafforzare le filiali non ci si riuscirà, così come è impossibile riuscirci se si cedono masse di crediti garantiti, anziché lavorare al loro recupero", lo afferma Riccardo Colombani, responsabile dell’ufficio studi di First Cisl e portavoce della segreteria nazionale per la vicenda Carige, commentando la ricerca del sindacato che raffronta Carige con l’aggregato di cinque banche a forte vocazione territoriale, ossia Banco Bpm, Mps, Ubi, Bper e Creval.

"I numeri parlano chiaro - prosegue Colombani -: mettendo insieme depositi, titoli e crediti, nel 2018 Carige ha sviluppato un prodotto bancario per dipendente di 12,8 milioni di euro, che, crescendo dell’8,4% rispetto agli 11,8 milioni dell’anno prima, si è allineato con i 12,9 milioni delle altre maggiori banche di territorio italiane, segno di una forte produttività del personale, però i 109 milioni di prodotto bancario per filiale di Carige sono molto più bassi dei 152,4 milioni dei competitor, e questo perché la banca ligure ha mediamente solo 8,5 dipendenti per sportello, contro i 12 delle altre banche”: 

“In cinque anni, dal 2012, ultimo esercizio senza perdite nette – aggiunge Colombani -, Carige ha ridotto personale e filiali con un ritmo più elevato dei concorrenti, che pure hanno affrontato forti ristrutturazioni. Nella banca ligure il personale è calato del 23,1% e gli sportelli sono scesi del 21,9% contro cali rispettivamente dell’8,6% e del 16,4% tra i competitor: il risultato è che il prodotto bancario di Carige è crollato del 32,8% e quello dei concorrenti è sceso solo del 10,1%. Carige ha perso il 52,1% del proprio margine primario, mentre le altre banche scendono dell’11,9%. Il crollo ligure è dovuto a una contrazione spaventosa dei depositi, scesi del 40,3%, e dei crediti, ridottisi del 45,9%. È evidente che senza sportelli e con un numero troppo basso di addetti per filiale non si può fare banca del territorio e non si possono recuperare le quote di mercato perdute”.

“Il problema – prosegue Colombani - è che Carige ha continuato a fare tagli pesanti anche nel 2018. A settembre i dipendenti per filiale di Carige risultano scesi del 2,7% su base annua, mentre nelle altre cinque banche salgono del 5,8%. È vero che i concorrenti hanno diminuito le loro filiali del 7,1% e Carige del 4,9%, però la riduzione di personale è più forte nella banca ligure rispetto al campione di riferimento, segnando un calo del 9% contro il 4,7% medio degli altri, con il risultato che ad aver sguarnito maggiormente il presidio del territorio è stata proprio Carige: non ci si stupisca dunque che l’apporto reddituale del margine primario, che comprende commissioni e interessi netti, segni un calo del 5,3% in Carige e invece una crescita dell’1,9% tra i competitor”.

“L’ulteriore errore – conclude Colombani – sarebbe quello di sguarnire le strutture centrali per alimentare la rete, perché questo impedirebbe una gestione diretta e paziente dei crediti: lo sviluppo dell’attività con le imprese è incompatibile con l’ipotesi di cessione massiva delle inadempienze probabili, i cosiddetti utp. Infatti, a fine 2017 i crediti deteriorati di Carige erano coperti da garanzie reali nella misura del 74,2%, per cui chi li acquisisse potrebbe essere indotto ad adottare modalità spregiudicate di escussioni di queste garanzie, il che potrebbe determinare il dissesto delle imprese coinvolte e quindi, a caduta, anche dell’economia ligure. Per la banca, l’occupazione e l’economia regionale è molto più profittevole una gestione dei recuperi che valorizzi la capacità di relazione del personale”.

Redazione