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| 05 gennaio 2019, 11:32

Ponte Morandi: la demolizione non convince tutti

Mentre prendono il via i lavori per la demolizione e lo smontaggio del Ponte Morandi, diversi esperti italiani continuano a sollevare posizioni progettuali e culturali non allineate e critiche

Ponte Morandi: la demolizione non convince tutti

E’ partita a fine anno la demolizione del viadotto sul Polcevera, per quattro mesi stagliato con le sue sagome fratturate nell’area diventata simbolo della devastazione e della perdita di orientamento per una città intera. L’abbattimento e lo smaltimento dei materiali sono stati appaltati alla Fagioli Spa, Fratelli Omini Spa, Vernazza Autogru, Ireos Spa e Ipe progetti per un corrispettivo di 19 milioni di euro. Come è noto, si occuperanno della ricostruzione la Salini Impregilo, Italferr e Fincantieri, sulla base del progetto di Renzo Piano. 

Il dibattito però continua ad essere aperto, in molti convegni, aule di facoltà di ingegneria e architettura italiane. Non tuti gli esperti sono convinti che la strada intrapresa dal sindaco-commissario Marco Bucci sia quella calzante. In sedi accademiche e cultuali è tuttora vivace il confronto sul valore simbolico del Ponte Morandi, destinato a perpetuare la memoria di uno degli eventi maggiormente luttuosi per la città e il Paese, anche da un punto di vista storico e delle dinamiche dell'ingegneria italiana.

Nuove critiche sono state mosse direttamente al progetto selezionato, quello riconducibile all’idea di Renzo Piano. In un recente convegno tenutosi a Genova il professor Enzo Siviero, docente dello IUAV di Venezia e dell’Università E-Campus, ha evidenziato la necessità di un attento progetto con valutazione degli aspetti riguardanti l'inquinamento acustico e ambientale, nonché una esatta stima dei costi, dei tempi e degli impatti sul territorio, anche in termini gestionali e organizzativi del cantiere di demolizione.

I docenti esperti hanno messo in guardia da atteggiamenti troppo semplicistici. Secondo alcuni non andava escluso a priori un progetto di reintegro della parte crollata, una volta accertata la stabilità delle altre parti, anche per salvaguardare la valenza dell'opera ormai consolidata nel paesaggio urbano della città.

Il genovese Francesco Gastaldi, docente universitario a Venezia, ha messo in guardia dal conferire un ruolo eccessivo alle cosiddette archistar. Ovvio il riferimento a Renzo Piano. “Negli anni più recenti, anche in Italia, alcune domande sono sorte sul ruolo delle archistar nell’ambito dei processi di trasformazione urbana: accelerano le procedure burocratiche? Attirano finanziamenti per la realizzazione dei progetti? Provocano un aumento dei valori immobiliari? Creano legittimazione nell’opinione pubblica e affidabilità per operazioni che altrimenti non lo avrebbero?”, chiede Gastaldi. 

Nei mesi scorsi l’architetto Luca Zevi, vicepresidente Inarch Istituto Nazionale di Architettura, si è più volte espresso in sede nazionale affinché si possa prendere in considerazione seriamente la possibilità di restaurare e reintegrare il viadotto Morandi anziché demolirlo e ricostruirlo. 

Sulla stessa linea d’onda Antonino Saggio, docente di Architettura a Roma, che nei mesi scorsi ha promosso una raccolta di firme in rete e ha scritto: “Nei giorni in cui si sta cominciando ad abbattere il Ponte Morandi voglio mettere una foto del viadotto sul Maracaibo restaurato dopo un incidente ancora più grave di quello di Genova. Quello che è successo a Genova e quello che ancora vedremo è un simbolo dell'Italia di oggi”, E ancora: “In un paese come l’Italia che dovrebbe avere al centro la valorizzazione delle risorse esistenti, e l’uso sostenibile dell’ambiente si intende procedere all’abbattimento e allo smaltimento di circa 250 mila tonnellate di materiale in zona urbana invece di recuperare il 20% di un capolavoro (il solo crollato) dell’architettura moderna”. 

Redazione

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