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| 13 dicembre 2018, 08:54

"I compiti delle vacanze? Il problema è la scuola da ripensare". Parola di pedagogista

Si avvicinano le vacanze di Natale e il Ministro dell'Istruzione ha invitato i docenti a dare meno compiti a casa. E' educativo? Cosa ne pensano gli esperti in pedagogia? Lo abbiamo chiesto a Elisa Frison

"I compiti delle vacanze? Il problema è la scuola da ripensare". Parola di pedagogista

Si avvicinano le vacanze di Natale ed ecco la solita domanda che si ripete ogni anno: compiti sì o no? I genitori si dividono, gli studenti, ovviamente, sono contrari. Così come il Ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, che ha dichiarato pubblicamente di voler “sensibilizzare il corpo docente e le scuole ad un momento di riposo degli studenti e delle famiglie affinché vengano diminuiti i compiti durante le vacanze natalizie".

Abbiamo quindi chiesto a una pedagogista, della Scuola di Pedagogia di Genova, che cosa ne pensi. Si tratta di Elisa Frison, pedagogista clinica che lavora nei servizi da zero a 3 anni del Comune, è Cultrice della materia di Pedagogia Generale all’Università, e membro fondatore di Eidos, associazione italiana di pedagogisti e pedagogisti clinici.

Intanto vorrei chiederle se è istruttivo che il Ministro faccia pubblicamente queste dichiarazioni, che ovviamente troveranno il consenso della maggior parte degli studenti.

Non rientrano nell’istruttivo, perché talvolta si rischia che dichiarazioni come queste sembrino degli slogan, mentre si tratta di temi molto complessi, che rappresentano la punta dell’iceberg del problema. La scuola, infatti, andrebbe ripensata, quindi bisognerebbe che questo appello servisse una volta per tutte a riflettere seriamente su quella che è e potrebbe essere la scuola. Io direi di iniziare a parlare dei problemi – anche se per i genitori sicuramente i compiti lo sono - e non a creare gruppi di favorevoli e contrari, ma, semmai, riflettere su cosa significhi oggi per i ragazzi andare a scuola, su quelle che sono le aspettative, perché rappresenta il futuro della nostra società, per cui dovrebbe essere il luogo in cui fare investimenti costanti sugli studenti.

I pedagogisti sono favorevoli ai compiti delle vacanze?

Le vacanze di Natale, essendo di due settimane, potrebbe essere un momento di ripasso individualizzato, in base alle difficoltà del singolo. Quindi ci si potrebbe soffermare sulla possibilità di recupero di alcune difficoltà, visto che i tempi sono più dilatati e si può essere più riposati per affrontare l’impegno. Inoltre durante le vacanze c’è la possibilità di leggere per fare approfondimenti su argomenti che potrebbero essere scelti dagli studenti: in questo modo col ritorno a scuola non ci sarebbe solo l’interrogazione, e quindi l’eterna valutazione, ma anche un dibattito e una riflessione maggiore. Quindi occorrerebbe che i docenti si accordassero, ridimensionando i compiti e capendo quali sono gli aspetti più importanti su cui soffermarsi per i ragazzi. Si tratta di un modo diverso di concepire quelli che sono il compito e lo studio fatti per le interrogazioni e le verifiche di Gennaio per il primo quadrimestre. Bisogna anche considerare che i tempi nelle vacanze sono limitati e non possono essere quelli di pieno regime scolastico. Inoltre per chi è in difficoltà con lo studio, i tempi si allungano. Invece bisogna lasciare ai ragazzi lo spazio di coltivare nel tempo libero le proprie passioni, perché lo studio non deve essere un aut aut tra, per esempio, lo sport e il compito da fare: l’obiettivo della scuola dovrebbe essere quello di costruire un ambiente diverso intorno al ragazzo.

C’è chi sostiene, quando si tratta dei più piccoli, che il momento dei compiti con i genitori è importante: è corretto dal suo punto di vista?

All’interno della relazione genitori-figli il momento dei compiti non è di valore, perché il rapporto si instaura in una gita fuori o nel fare qualcosa di piacevole in casa tutti insieme. In genere il compito è vissuto, sia dai ragazzi che dai genitori, come un momento di pesantezza e di fatica, da fare velocemente per dedicarsi ad altro. Questo anche perché c’è difficoltà a vedere ciò che viene dalla scuola come qualcosa di vitale, creativo e interessane, perché, per come è strutturata, è vista come noiosa, pedante e faticosa e le cose piacevoli sono slegate dal compito. Inoltre i ragazzi dovrebbero imparare a studiare in autonomia, anche a scuola. Invece a casa spesso c’è il controllo da parte dei genitori per assicurarsi che i compiti vengano fatti. Non c’è ancora, alla primaria e alle medie, una maturità ai compiti, specialmente se ne vengono dati molti. E laddove il ragazzo è piuttosto autonomo, si tratta di fare un ripasso insieme e di controllare quello che è stato svolto, mentre se il ragazzo presenta delle problematiche, il rapporto col genitore spesso è conflittuale e non dialogico. E all’interno della famiglia si entra in conflitto proprio sui compiti.

E del sistema scolastico di altri Paesi, in cui le vacanze sono strutturate diversamente, cosa pensa?

Penso che in ogni sistema scolastico ci sia qualcosa di positivo, e nessuno vada preso tout-court come modello ottimale. Per ripensare la scuola bisogna vedere quali altri modi ci sono, ma tenendo conto della cultura da cui si proviene. La nostra, molto classica, è un valore aggiunto rispetto ad altre, come quella anglosassone, che ha altri parametri. Ci sono aspetti che funzionano bene in alcuni Stati: allora perché non studiarli e pensare a come poterli applicare qui? Per esempio si parla molto del modello finlandese: lì la scuola primaria inizia a 7 anni, perché gli studi sul funzionamento del bambino e delle sue capacità di attenzione e apprendimento dimostrano che ha bisogno del gioco e di muoversi fino a quell’età, cosa che a scuola non si può fare. E infatti i nostri bambini della primaria subiscono molto il cambiamento rispetto all’asilo, dovendo stare molte ore seduti. Quindi bisogna studiare gli esempi positivi e capirne l’efficacia nel lungo tempo, ma restando nell’ottica della cultura italiana, che è diversa da quella americana o francese, ma che ha molti aspetti positivi.

Rispetto alle considerazioni fatte, quindi, cosa ritiene che dovrebbe fare la scuola?

La scuola va ripensata. E innanzitutto dovrebbe essere pulita e accogliente: i ragazzi imparano il bello vedendo il bello intorno a loro e imparano il brutto vedendo il brutto intorno a loro. Non è possibile lasciarli per tante ore in scuole che cadono a pezzi, non è rispettoso nei loro confronti: vuol dire che non diamo valore a loro e che non si vuol investire sull’educazione. Più un quartiere è degradato e più una scuola dovrebbe essere bella esteticamente, cioè con locali curati e attrezzati, e aperta tutto il giorno: i ragazzi dovrebbero avere un luogo dove poter andare e dove non si faccia semplicemente del nozionismo, ma si dia loro la possibilità di fare sport, musica, avere una biblioteca e vedere film. La scuola deve essere considerata una seconda casa, soprattutto per quelli che nella prima hanno un po’ di difficoltà. Così come era la scuola di Don Milani, aperta da lunedì a domenica tutto il giorno: un luogo di dibattito, dove si leggeva il giornale e si studiavano le lingue. Quindi ci vorrebbero un po’ meno nozioni e un po’ più pedagogia.

Medea Garrone

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