- 16 ottobre 2018, 15:09

Il Funambolo Zen Andrea Loreni: "Vi spiego la filosofia del cavo" anche a terra

E' uno dei pochi al mondo a "passeggiare" sul cavo a grandi altezze. E' Andrea Loreni, funambolo Zen, che è tornato a Genova per parlare di vuoto e ascolto. Lo abbiamo intervistato. Ma a terra (VIDEO)

Quante volte ci siamo sentiti in bilico? Per decisioni da prendere, per dubbi esistenziali. E sotto di noi il vuoto. Quello metaforico, che però provoca angoscia e ansia. Quando si dice di essere appesi a un filo o sul filo del rasoio. Ecco lui su quel filo, un cavo per la precisione, ci si trova davvero, volontariamente, e anche spesso. Perché stare in sospensione col baratro sotto, per lui che si fa sempre tante domande, da buon studioso di filosofia, è un modo per non pensare troppo. Si tratta di Andrea Loreni, il Funambolo Zen, tra i pochi al mondo, e il solo in Italia, a librarsi a grandi altezze – davvero vertiginose - con la delicatezza di una libellula. Infatti ha passeggiato a Pennabilli, in Romagna, a 250 metri a 90 di altezza, mentre a Rocca Sbarua, in provincia di Torino, a 160 metri da terra. Ha percorso chilometri su un cavo teso nei cieli di numerose città, tra cui Torino, Bologna, Roma, Venezia, Firenze, Brescia, Trieste, e all’estero in Svizzera, Serbia, Israele e lo in Giappone sul lago del Tempio di Sogen-ji. Ed è tornato a Genova, dopo la passeggiata nell’aere in Piazza Matteotti per il Capodanno del 2016. In questo caso, a due mesi dalla tragedia del Ponte Morandi, lui che è speaker per i vari Ted X, in trasmissioni come Super Quark e film come “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone, per l’occasione è stato invitato dall'Ordine degli Psicologi della Liguria per parlare del tema: “Dal vuoto all’ascolto”. Lo abbiamo intervistato, ma a terra.

Cos’hai pensato appena ti è stato chiesto di partecipare all’incontro a Genova?

Come si collegano un evento così traumatico come quello del ponte e la tua esperienza di funambolo? Mi ha incuriosito e l’idea e avevo pensato anche a una traversata sul ponte per far sì che rappresentasse il collegare di nuovo una frattura. Invece poi mi hanno chiesto di fare un talk che si legasse all’evento drammatico. Ne sono stato lusingato, ma anche spaventato, perché si tratta di un tema molto delicato. Ma siccome il tema della giornata era incentrato sull’ascolto, ho trovato un modo per declinarlo. Infatti di fronte al dolore, e al di là del dolore, di cui non volevo parlare, perché non mi sentivo all’altezza, ho pensato alle mie modalità d’ascolto, che sono funzionali rispetto a un dolore, a uno spavento o a un trauma. Infatti l’ascolto è un concetto che si lega alla mia pratica sia di funambolo che Zen. Quando sei sul cavo devi essere pronto ad accogliere o a non trovare, e quando si è in meditazione il vuoto rappresenta un momento di autenticità e verità, come nello Zen. Mentre da noi il vuoto rappresenta prima di tutto timore e spavento, perché sembra assenza, io ho scoperto che invece nella nostra assenza c’è maggior possibilità di presenza, perché passiamo dal piccolo del nostro io a istanti esistenziali più elevati, di trascendenza.

“Dal vuoto all'ascolto”: che cosa significa per te?

Ascoltare veramente o almeno il mio ascoltare è necessario sul cavo, è fare silenzio e fare il vuoto. Perché il mio, per così dire, rumore mentale, è una distrazione dal momento presente ed è un rumore che si sovrappone a quelli intorno, che voglio ascoltare attentamente. E soprattutto li filtra. Quindi il mio farmi vuoto e assentarmi come io, come pregiudizi e preconcetti, permette un ascolto più diretto di quello che c’è intorno, perché devo essere pronto a sentire col corpo quello che c’è in ogni traversata, senza camuffarlo con pensieri e aspettative non reali. In questo modo il vuoto spaventa, ma è anche il punto di forza per poter passare sul cavo e attraversare il vuoto stesso. Per questo il tema ‘Dal vuoto all’ascolto’, significa farsi assente nella parte relativa, avendo così la possibilità di sentire autenticamente quello che ti viene detto, quindi la mente quello che c’è in ogni traversata. Quando il rumore dei passi e delle foglie al vento e del battito del tuo cuore smettono di essere tale, allora la mente ha smesso di elaborare e filtrare la realtà e allora puoi ascoltare davvero il suono di quell’istante. Si tratta di una sorta di ipersensibilità non distrattiva: sul cavo percepisco tutto quello che succede, ma niente nella sua specificità. Quindi quello che ho fatto è stato lavorare sul tacere della mente per aprirsi all’ascolto del suono.

Sei laureato in Filosofia Teoretica: come sei passato dalla filosofia a fare l’artista di strada?

Ho studiato filosofia perché avevo un professore al liceo che mi ha ispirato e fatto capire cosa sono la conoscenza vera e il rispetto, quindi mi sono iscritto a Filosofia alla ricerca di qualche tipo di verità. Ma dopo del tempo mi sono reso conto che questa verità molto Occidentale non mi bastava, sentivo che c’era altro ancora. Così finendo gli studi ho iniziato a praticare l’arte di strada come una sorta di altra via, perché quando ho visto lo spettacolo di strada ho capito che c’è un’altra possibilità di praticare una relazione sia sociale che consente l’abbassamento delle barriere sociali, almeno nel momento dello spettacolo. E poi fare cappello mi sembrava uno scambio onesto, anche economicamente: tu fai quello che vuoi fare e il pubblico dà quello che vuole dare. Da qui ho scoperto anche la disciplina del cavo e piano piano sono arrivato a quello alto, trovando la verità che cercavo e che la filosofia non mi aveva dato. Ho scoperto che quello è il momento di verità, perché lì sul vuoto vivi il momento di completezza dell’essere, perché quello che succede sul cavo è vero. È stata la spinta verso un qualcosa che non esauriva la realtà che trovavo e che mi ha portato a camminare sul cavo.

Come sei arrivato a essere il Funambolo Zen?

Apparentemente per caso. Un mio amico era andato a praticare la meditazione Vipassiana in Giappone e io, che sono sempre stato affascinato dal silenzio e dall’immobilità,  ho provato, mi è piaciuta moltissimo e l’ho praticata per due anni, ma poi ho visto che nello Zen ci sono ancor più silenzio e immobilità. Si sta per ore seduti a respirare. Cose apparentemente semplici, ma che invece non sono così facili da raggiungere, per le nostre sovrastrutture che creano rigidità e non ci fanno sedere comodamente. Poi a forza di provarci ti scontri con queste rigidità e ne esci.

Cos’è il progetto “Zen e Funambolismo”?

Praticavo a Torino lo Zen da 8 o 9 anni ormai e avevo deciso di fare un tirocinio nel tempio giapponese affiliato, quello di Sogen-ji, dove la badessa, scoprendo che sono funambolo, mi ha chiesto di fare la traversata. Da lì è partito il progetto e ad agosto 2017 ho fatto la traversata sul lago del tempio. Tra poco sarà diffuso il documentario, che ho realizzato anche col crowdfunding. Per ora si vede il trailer con la partenza.

Quanto lo Zen ti è utile per fare il funambolo?

Il funambolismo in realtà mi ha aiutato in cose che nello Zen avrei avuto più difficoltà a fare. Perché devi essere qui e ora sul cavo, mentre stando seduto puoi anche permetterti di non essere così presente. I cambiamenti forti poi li ho avuti andando al tempio, imparando a stare seduto per ore e a respirare in modo naturale, con il corpo che si è adeguato. E respiro e corpo sono strettamente legati al funambolismo. Infatti respirando ci si rilassa e quando c’è un momento di crisi e di dolore bisogna attraversarli e superarli. Questo si può fare con un corpo morbido, che ti permette di plasmarti e trasformarti, altrimenti resti sempre uguale e non vivi. E infatti nella vita il rischio esplicito è quello di non vivere davvero.

Quanto l’esperienza sulla corda, quindi, serve nella vita di tutti i giorni?

In realtà nella vita quotidiana non riesco ad avere sempre quell’autenticità che ho sul cavo, anche perché manca l’apparente rischio. Però ho imparato ad accettare quello che c’è e quindi anche le parti di me che prima non accettavo, come la rabbia. E questo è possibile grazie a un corpo morbido, alla postura, a un atteggiamento accogliente, e al respiro.

Che cosa di spaventa di più nella vita?

Il non vivere veramente, che è una fregatura, perché preoccupandomi di vivere a tutti i costi, mi perdo la vita proprio nella preoccupazione di vivere. Quante ore ti alleni? Sul cavo poche e lo faccio soprattutto prima degli eventi grossi. Ma pratico lo Zen tutti i giorni, almeno due ore tra meditazione ed esercizi sul respiro, alzandomi alle 4.30 di mattina.

Quanti siete al mondo a fare i funamboli sul cavo alto?

Non saprei, forse una ventina. In Italia sono l’unico.

La prossima sfida?

Adesso sto organizzando per Perugia a dicembre e Arezzo. Per il prossimo anno ad Ardesio e a Civita di Bagno Regio. Poi ci sono i vari laboratori per la gestione di stress e paura.

A chi consiglieresti la pratica del funambolismo?

A tutti, nel senso che è interessante per chi pensa troppo. Quando faccio i laboratori, senza grandi altezze né difficoltà, quello che dicono tutti è che si è concentrati su quello che si fa senza altri pensieri. Sul cavo, invece, essendo a rischio, anche piccolissimo e tutelato, entri in quella condizione di assenza di pensiero, che è uno stato interessante da provare.

E per chi soffre di vertigini?

Posso dirti che persone che ne soffrono sono salite sul cavo. Ovviamente nei laboratori iniziali si prova su un cavo basso, a 50 cm da terra, in piena sicurezza, con i materassini sotto e me vicino. Lì ti puoi permettere di aver paura: viene creata apposta una situazione di crisi su cui lavorare, per esaminarne le dinamiche, che non sono molto diverse da quelle che si possono provare in un momento di paura maggiore.

 

Medea Garrone