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| 29 settembre 2018, 10:05

La manovra in pillole: ogni promessa è debito e a pagare il conto siamo sempre noi

Il "nostro" Beta Sigma fa il punto sul primo DEF targato Salvini-Di Maio (prima parte)

La manovra in pillole: ogni promessa è debito e a pagare il conto siamo sempre noi

Il 27 settembre (giorno di paga), il Governo giallo verde ha partorito, nella serata tarda, il primo DEF targato Salvini – Di Maio. Il nuovo pargolo (Mattegigi) è diversamente abile, ma richiama l’attenzione e il consulto degli allievi del Prof. Basaglia e, pare, rivendicare la riapertura dei manicomi con una certa urgenza.

Attenzione, l’aggiornamento del Documento Economico e Finanziario non è né una legge, né un decreto legge che entra immediatamente in vigore, ma un documento programmatico d’intenti (una specie di pagherò come in una cambiale) che delinea le priorità strategiche e gli interventi che si dovrebbero approvare nella manovra economica (legge di bilancio 2019)  entro il 31 dicembre 2018.

Bonjour tristesse (Francia), buenos dias tristeza (Argentina) selam selam hüzün (in turco) sono i tre orizzonti possibili del Belpaese! Io vedo come probabile il secondo e il terzo e non colgo correlazioni con la Francia di Macron che ha una crescita nettamente superiore alla nostra, un indebitamento sostenibile, una burocrazia e un’amministrazione pubblica assai più efficaci ed efficienti della nostra!

Intanto vediamo in sintesi di contestualizzare le misure annunciate nel DEF con il quadro macro del trend economici nostrani e mondiali: mentre l’Istat rivede al rialzo di un decimale di punto (disperato sorriso) il consuntivo del PIL 2017 ormai alle spalle; l’Ocse spegne gli entusiasmi e da un lato riduce le previsioni di crescita per l’Italia (fanalino di coda) e, dall’altro, avverte di non smontare la Legge Fornero perché sarebbe a rischio strutturale l’equilibrio del sistema delle pensioni.

E, mentre in Italia si litiga, sui decimali, l’economia mondiale mostra nuovi preoccupanti segnali di rallentamento (Turchia, Argentina, Venezuela, Guerra dei dazi doganali, tensioni e nuovi focolai di guerra in Medio – oriente e Libia) che possono dare un negativo rinculo al difficile ciclo economico con i rischi conseguenti di stagnazione e recessione che ci riporterebbe agli anni passati (prima del 2015).

Diceva Mao “Grande è la confusione” sotto il cielo stellato del Belpaese governato dal Contratto giallo-verde! Ogni giorno la sua pena e ogni esternazione stimola il suo contrario!

L’immateriale vacuo Conte che spergiura (come dipendesse da Lui che conta come il due di briscola) che “i conti saranno in ordine e la manovra è coraggiosa e utile per il Paese”; Di Maio e il fuoruscito del Grande fratello in carriera Rocco Casalino che minaccia “trovate i soldi e fuori il bottino”; Salvini che addirittura afferma di voler ridare la “felicità perduta” agli italiani e teorizza il taglio delle risorse per la gestione – integrazione dell’emergenza emigrati (non esiste da quasi un anno) per dare un caffè ma solo agli italiani e il competente bravo Ministro Tria che continua a domandarsi giorno e notte “Ma Chi….belin me lo ha fatto fare” a essere ostaggio di cotanta ignoranza economica e statistica.

Come stanno le cose tradotte in pillole e in volgare comprensibile ai più? Il Belpaese ha un fardello di debito pubblico di oltre 2.331 miliardi (ognuno di noi a nostra insaputa ha 38 mila euro di debito compresi bambini e centenari); è il terzo debito pubblico mondiale dopo Usa e Giappone, ma noi non siamo la terza economia del mondo (forse la nona).

Il Paese, per sopravvivere e pagare stipendi pubblico impiego, pensioni, sanità ecc. al netto delle entrate dirette e indirette pagate dagli italiani attraverso le diverse modalità fiscali, ha bisogno di prestiti annuali di circa 400 miliardi (un terzo del bilancio) da trovare sul mercato degli investitori finanziari al tasso di interesse che decide il Mercato (Domanda – Offerta – Rendimenti) e non Salvini e Di Maio poarelli!

Il Bilancio dello Stato non è diverso da un bilancio familiare: se hai i soldi arrivi alla fine del mese, se non li hai ti rivolgi a banche e agenzie di prestito e, quando sei con l’acqua alla gola, diventi ostaggio degli usurai.

Cosi è per lo Stato: più aumenta il debito verso gli investitori (cifra monstre di 2.331 miliardi) più è difficile collocare le emissioni dei titoli e più interessi sei costretto a pagare!

L’andamento reale dell’economia italiana e gli accordi di flessibilità con l’UE, prevedevano un rapporto deficit – pil per quest’anno fissato allo 0,8%, rispetto al tetto massimo del 3 per cento. Tuttavia, il peggioramento del Pil, posto al denominatore del rapporto col deficit e col debito, farà sì che il primo, cioè la differenza tra entrate e uscite, sarà più alto a insaputa di Di Maio e Di Salvini, ma forse non di Giorgetti e di Tria.

Se poi consideriamo non solo il rallentamento della crescita, ma anche i maggiori oneri sul debito in seguito all’aumento dello spread (almeno 4 miliardi su base annua già maturati ad agosto 2018) e i 12,5 miliardi di euro di minori entrate che verranno dalla cancellazione dell’aumento dell’Iva altrimenti previsto dal prossimo primo gennaio (le cosiddette clausole di salvaguardia), possiamo già dire che il deficit 2019 viaggiava verso il 2,3%. Un livello troppo alto per farlo digerire non tanto a Bruxelles, quanto agli investitori.

Il povero ministro Tria sapeva bene che uno sfioramento – sforamento del tetto concordato con Bruxelles, avrebbe scatenato una tempesta finanziaria sull’Italia.

Per recuperare uno spazio minimo di manovra il ministro voleva far leva su tagli di spesa e nuove entrate.

Sul primo capitolo era allo studio una nuova puntata della spending review per risparmiare, in particolare nei ministeri, circa 3 miliardi (operazione che però si scontrava con le richieste di aumento dei fondi che già erano arrivate a Tria da diversi ministeri). Sul fronte delle entrate, invece, si puntava su due misure. La prima era il riordino delle “tax expenditure” (detrazioni, deduzioni) con l’obiettivo di sfoltire la giungla delle agevolazioni fiscali e far entrare così circa 5 miliardi di euro in più all’anno, ma anche questa era un’operazione delicata perché avrebbe colpito categorie sensibili ai fini elettorali (agricoltori, camionisti).

La seconda misura allo studio è invece la cosiddetta “pace fiscale”, in particolare un condono sulle liti pendenti fino a 100mila euro dal quale potrebbero arrivare almeno 3 miliardi, anche se si tratterebbe di una misura una tantum. In tutto, fra spending, riordino delle agevolazioni e sanatoria fiscale, Tria avrebbe  potuto raccogliere circa 11 miliardi; risorse che avrebbero potuto essere utilizzati in parte per avviare appunto alcune riforme e in parte per contenere il deficit entro il 2% del Pil.

Di Maio e Salvini lo hanno messo all’angolo e vogliono 33 miliardi di nuovo deficit pari (appunto) al 2,4 del rapporto Deficit/Pil per tre anni. Giovedì notte il M5S con Di Maio ha avuto anche la sfacciataggine di festeggiare dal balcone di Palazzo Chigi al grido “gliel’abbiamo fatto”! Beati gli ebeti, ma è noto che i comizi dai Balconi non portano bene!

Fine Prima Parte


NB: dedico quest’articolo al mio amico leghista Roberto Ratto dell’Officina Ratto (Lancia) con l’auspicio che rinsavisca.

Bruno Spagnoletti

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