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Politica | 20 settembre 2018, 14:27

Lo chiamano “Il capitano” e il suo nome è Matteo Salvini

Spagnoletti: "Sbaglia (e pure di grosso) Chi pensa che il fenomeno Salvini sia passeggero, transeunte e destinato a sciogliersi più prima che poi"

Lo chiamano “Il capitano” e il suo nome è Matteo Salvini

La Politica italiana, nella moderna politica della comunicazione social, con strumenti che hanno alimentato la disintermediazione tra leader e popolo e hanno permesso alle persone di incrementare la propria narrazione e la messa in scena di sé, offre tre galli nel pollaio dell’Italia che annaspa: Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi.

Vorrei tentare di fare – a partire da questo scritto – un quadro sintetico e non convenzionale dei tre giovani leader della politica italiana e iniziare con Matteo Salvini.

E’ inutile nasconderlo o ironizzare sui congiuntivi, le dizioni, le competenze e le repentine rientrate strategiche dopo ogni botto e ogni provocazione seriale voluta al limite della Costituzione: il voto del 4 marzo e gli oltre cento giorni di Governo, hanno sanzionato – nel bene e nel male – che c’è un solo capitano e il suo nome è Matteo Salvini.

D’altra parte di che ci lamentiamo? Con il 17% dei consensi elettorali lo abbiamo nominato Premier (pardon) Vice Premier e Ministro dell’interno e ora lo teniamo sino al capolinea del Governo giallo – verde; un Contratto che non si conosce quanto tempo durerà e che sarà Lui (Salvini)a decidere per rientrare nell’ovile del Centro Destra da Massimo Decimo Meridio e leader senza concorrenti alternativi !

Sarà meglio abituarci alla fine del politically correct del Ministro dell’interno ombroso, silenzioso e chiuso nelle stanze ovattate del Viminale ad ascoltare i Consigliori e gli Scriba; e, sarà altrettanto meglio sintonizzarci sulle onde - già diffuse in progress – del Ministro interventista, sempre borderline tra ruolo istituzionale e risposte orientate a ciò che vuole “sentirsi dire” la sua gente e il suo insediamento sociale.

Sbaglia (e pure di grosso) Chi pensa che il fenomeno Salvini sia passeggero, transeunte e destinato a sciogliersi più prima che poi da un lato; e, dall’altro che possa essere l’intervento surrettizio e sostitutivo della Magistratura a liberare il Paese dall’ingombrante presenza del Leader leghista, come pur avvenne con il modello Berlusconi.

E perché mai dovrebbe cambiare metodi, forme, contenuti e valori del suo fare politica Matteo Salvini? Come conferma l’ultimo sondaggio di Swg, la bilancia dei consensi in poco più di 100 giorni, si è ormai spostata a favore della Lega che avrebbe sfondato il 32% dei voti, in crescita progressiva dal 4 marzo ad oggi con la sua campagna elettorale permanente,  mentre il Movimento 5 Stelle è al 28,3%, in calo di quasi un punto e mezzo.

Bando alle chiacchiere e alle polemiche inutili di un’opposizione quasi inesistente, non pervenuta e in coma per non aver ancora elaborato la dura sconfitta elettorale; un’opposizione quasi in preda ad un’ipocrisia collettiva: tutti auspicano formalmente un congresso vero sull’identità e la ricostruzione dalle fondamenta di una sinistra moderna a vocazione maggioritaria, ma tutti sostanzialmente rinviano la fase congressuale e partono dalla scelta del Leader e non dal programma; mentre il PD è inerme e in agonia con un Segretario pro tempore debole e inadeguato e un non Segretario (Senatore all’americana) che fa e smonta a piacimento avendo una maggioranza larga nei Gruppi parlamentari e negli Organismi eletti prima della disfatta del 4 marzo.

E’ il canto del Cigno: servirebbe una nuova politica e una nuova classe dirigente “diversa sia dai vecchi dinosauri, sia dai cantori di se stessi respinti dagli elettori” come scrive Marco Damilano sull’Espresso; ma come cinguetta Carlo Calenda “ il Pd è un partito da psichiatrici e merita solo l’estinzione”.

Matteo Salvini si è dimostrato dotato non solo di un armamentario tattico e mediatico da Nobel della moderna comunicazione, ma anche un fine stratega che oggi governa con i 5Stelle, ma guardando “oltre” come orizzonte strategico al Centro Destra unito sotto la sua leadership, magari con Berlusconi Presidente e la Meloni vice segretaria del nuovo partito; e, mai dire mai, i 5Stelle divisi e rotti nella loro granitica unità (di facciata).

Se il progetto riuscirà in concomitanza del voto europeo del maggio prossimo, sarà assai probabile la fine anticipata della legislatura e un Centro Destra in grado di andare oltre il 40% dei consensi elettorali per provare a governare il Paese nei prossimi dieci anni.

Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che fosse prevedibile un largo consenso per le politiche portate avanti sull’immigrazione; vero, sul fenomeno drammatico degli immigrati, tatticamente Matteo Salvini ha visto giusto: fare la voce grossa contro i disperati che arrivano dalla Libia raccoglie un consenso vasto a destra, ma anche in una gran parte dell’elettorato che non gli è tradizionalmente vicina: milioni di italiani che in passato hanno votato a sinistra.

Eppure – a ben scandagliare il personaggio del momento – s’intravedono anche altre qualità, attitudini e abilità da Leader.

Matteo Salvini ha una dote che, ad esempio, l’altro Matteo non ha mostrato di avere: sa ascoltare l’idem sentire della sua gente, sa captare la pancia, ma anche il sentiment diffuso del popolo e, soprattutto, sa fermarsi e fare un passo indietro quando si accorge o lo avvertono autorevolmente che si avvicina il precipizio e il burrone, con una capacità a lavorare in team che non sembrava facesse parte del suo Dna più volto ad incarnare la figura “dell’uomo solo al comando”.

Le tante conversioni repentine sulla via di Damasco (dell’Europa), gli stop and go quasi quotidiani, i “ravvedimenti operosi” su UE, Euro, Vaccini, sforamento del tetto del 3%, diluizione delle misure del cosiddetto Contratto nell’arco della legislatura, attenzione all’equilibrio dei conti e, persino, il dietro front sul golpe della Magistratura, confermano la peculiarità politica e la particolare capacità di intuizione del leader della Lega.

Salvini (sempre un passo avanti a Di Maio) ha capito per primo che il vento stava cambiando e che lo spread alle stelle sarebbe stato devastante per il Governo e il Paese come lo fu nel 2011 per Berlusconi; creando dal nulla un vertice di esperti della Lega che in due giorni ha preso l’intero pacchetto di annunci & progetti in materia economica e ne ha fatto coriandoli, virando su un sano approccio riformista capace persino di avviare una stagione di dialogo con i protagonisti della finanza internazionale e delle istituzioni europee, poi concretizzatosi a Cernobbio.

Badate bene che è falso che sia stata Bruxelles a far cambiare idea al leader della Lega. Juncker e tutti gli altri Commissari sono (allo stato attuale) tigri di cartapesta, peraltro incupite dal clima di fine mandato che potrebbe diventare anche la fine di un’epoca, cioè quella del duopolio Ppe-Pse.

Come autorevolmente scrive il Direttore Arditti, sono gli “gnomi” dei mercati finanziari che hanno vinto la partita, facendo arrivare da tutte le parti (dal fido e realista Giorgetti, al Governatore Zaia, alle imprese venete e lombarde, dalla finanza milanese alle istituzioni di settore come Banca d’Italia e Consob) messaggi espliciti tutti di un solo tenore: “Andate avanti cosi e vi farete molto ma molto male”.

Riuscirà il nostro a rendere permanente l’equilibrio tra radicalità del cambiamento promesso, attenzione ai conti pubblici, responsabilità nazionale e consenso popolare? Questa è la domanda e la scommessa decisiva!

Dal mio punto di vista sono due gli ostacoli sui quali Salvini rischia di rompersi (politicamente) l’osso del collo; in primo luogo il rischio che sia proprio la parte dell’elettorato che gli è tradizionalmente più vicina, quella padana che traina la crescita italiana e che con l’eccellenza dei propri prodotti sostiene l’export battendo la concorrenza internazionale, cominci a mettere a fuoco il rischio mortale insito nella politica euroscettica del leader leghista. Questo è oggi il primo tallone d’Achille di Salvini.

Il secondo è il gap esistente tra la crescita elettorale esponenziale del consenso elettorale e la pochezza dei Gruppi Dirigenti, delle “menti”, delle competenze ancora troppo esigue e ristrette necessarie per governare, a partire dalle aree territoriali; aree dove a “comandare” ci sono troppi lestofanti e parecchi gechi dalla coda a foglia che cambiano pelle per riciclarsi e continuare ad esistere.

Il caso di Savona è emblematico della contraddizione; boom di consensi elettorali e gruppi dirigenti un  po’ asfittici e approssimativi; e, gruppo consiliare, pur cresciuto. ma di vecchio stampo populista con deviazioni xenofobe un pochino ridicole, dove è “in costruzione” qualche giovane risorsa che potrebbe crescere come il Capogruppo Matteo Venturino.

Per onestà intellettuale va riconosciuto che – in quest’ultimo periodo – la Lega stia molto crescendo nella forma Partito, nel tesseramento, nella militanza attiva, nella quantità di riunioni e di partecipazione democratica e, soprattutto, nel suo radicamento territoriale.

Scoccia riconoscerlo, ma oggi è la Lega, l’unico Partito che nel rapporto con iscritti, elettori e territorio si avvicina alla “forma” Partito per antonomasia: Il Partito Comunista Italiano!

Bruno Spagnoletti

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