/ 

| 17 settembre 2018, 10:18

Papà Remigio al primo giorno di scuola

Il primo giorno tra i banchi è anche quello che rimane inciso nelle emozioni che, tra i ricordi flebili del passato, restano nitide... nell'età adulta

Papà Remigio al primo giorno di scuola

L’ultima immagine che Remigio aveva negli occhi era lo scudo rosso, bianco e blu di Capitan America.

Con quella stella proprio al centro.

L’aveva vista diventare sempre più piccola, al suo sguardo, mentre il grosso portone grigio della scuola elementare si chiudeva e gli stipiti, sbattendo, facevano un rumore di caverna.

Un tonfo sordo che lo aveva intristito ancora di più.

Aveva scrutato la scritta Avengers sullo zaino che suo figlio portava appeso alla schiena.

Ancora troppo grande per lui.

Così pieno di libri, di quaderni, e altrettanto di sogni, di speranze, di emozioni.

Anche il cuore era piccolo, in quel momento. Quasi Remigio non lo sentiva più battere, mentre scendeva gli scalini dell’istituto, assorto nei suoi pensieri.

Tirò su il bavero del cappotto. L’autunno era alle porte, il cielo era grigio e nuvoloso, un forte vento di scirocco soffiava tra i rami degli alberi di tiglio. Le prime foglie stavano cadendo sul freddo asfalto.

Accese una sigaretta e si sedette sulla prima panchina. Faceva tiri avidi, uno dietro l’altro, mentre la cenere cresceva in cima al mozzicone. La lasciava cadere con la brezza. Lui, abituato a fumare sino al filtro, sino quasi a consumarsi le mani, doveva solo stare attento a non bruciarsi.

Mandava il fumo fuori dalla bocca e rifletteva.

Ricordava.

Erano passati già sei anni da quando, una notte di mezza estate, si era scapicollato sino all’ospedale, a veder nascere il suo Remigino. Il tempo era passato felice per il piccolo, impietoso per il papà. Doveva essere un bravo attore - diceva tra sé e sé - oltre che un bravo genitore, per non rovinare mai la magia della sua creatura. Per far parte del suo mondo, per essere stato ed essere ancora, sempre e comunque, uno di quei supereroi che il piccolo si era portato in classe.

Almeno loro gli avrebbero fatto compagnia, in quel mondo per lui assolutamente nuovo. In quel suo diventare un ometto. Che il tempo del gioco ormai era finito. E iniziava quello delle prime, piccole responsabilità.

Remigio aveva la mente affollata di pensieri, e un grande magone in gola. Sentiva i minuti trascorrere, guardava impaziente l’orologio. Aspettando già la prima campanella, il momento in cui avrebbe potuto riabbracciare il suo bambino. Ascoltare com’era andata, farsi dire i nomi dei compagni, sentire le prime impressioni.

Gli sembrava di riviverli, quei momenti. Di tornare indietro sin quando era toccato a lui. Quando a scuola si andava tutti il primo ottobre, e lui ci scherzava sempre perché lo avevano chiamato come il santo di quel giorno. Il patrono di tutti i debuttanti a scuola.

I debuttanti nella vita.

Come il vescovo di Reims, che a soli ventidue anni aveva avuto tale e tanto carisma da riuscire a convertire persino un re, Clodoveo, facendogli abbracciare la religione cristiana.

Ora era lui, Remigio, a doversi convertire. A dover scacciare via quella tristezza.

Lasciò cadere il mozzicone a terra. La sigaretta, non essendoci più nulla da bruciare, si era spenta da sola. Un aspro odore di tabacco gli era rimasto sulle labbra e tra l’indice e il medio della mano destra.

Entrato in casa, si guardò allo specchio: la barba incolta, le occhiaie ormai d’ordinanza, i capelli sempre più radi. Ogni anno ne invecchiava cinque, ma pur sempre con dignità, senza far mancare nulla a nessuno.

Posò il cappotto sullo schienale della poltrona, andò alla libreria e scelse accuratamente un disco. La colonna sonora della sua giornata. L’ultima strofa di “Father And Son” di Cat Stevens: ‘All the times that I cried, keeping all the things I knew inside, It's hard, but it's harder to ignore it’.

Tutte le volte che ho pianto, tenendomi dentro ciò che sapevo, è difficile, ma è ancor più difficile ignorare tutto questo.

Capì che quella era la strada della vita, e trovò finalmente la consolazione. Che l’orologio stava girando e per lo spleen non c’era più tempo. Stava per suonare la campanella e doveva rimettersi il costume da supereroe.

Verde, e rigorosamente extralarge.

Oggi toccava all’incredibile Hulk. Fare a pugni contro il Tempo, per far trionfare l’Allegria.

All’ora di pranzo, Remigino fu tra i primi a uscire: “Che cosa hai imparato oggi”, gli chiese il papà mentre con una mano lo teneva e con l’altra gli accarezzava i capelli.

E il piccolo aveva già la risposta pronta: “Non abbastanza, infatti vogliono che ritorni anche domani”.

Così, giorno dopo giorno, Remigino diventava Remigio. Tornando sempre il giorno dopo. A imparare qualcosa di nuovo.

La grande magia della scuola.

Buon anno a tutti.

Alberto Bruzzone

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium