Si reca in posta per spedire un pacchetto, una semplicissima operazione di routine che richiederebbe pochi minuti, ma lamenta di essere stata trattata con "mancanza di delicatezza" a causa della propria disabilità.
Questa la vicenda raccontata da D.P. allo sportello di un ufficio postale savonese.
Ci siamo fatti raccontare l’episodio direttamente dalla protagonista, che ci spiega: “Non vado in posta tutti i giorni, mi capita poche volte all’anno. Ma devo dire che una cosa simile non mi era mai successa: sono gentile per natura, l’educazione fortunatamente mi è stata insegnata fin da piccola, sono sempre stata cortese con tutti e ho sempre trovato la stessa cortesia da parte delle impiegate e degli impiegati allo sportello.
Io sono affetta da retinite pigmentosa, una malattia genetica, ereditaria e degenerativa. Ciò significa che sono ipovedente. Vorrei precisare che l’ipovedente non è cieco, ma vede poco e male, ha difficoltà e limitazioni sotto diversi aspetti che riguardano il campo visivo.
Purtroppo i bollettini postali sono scritti in caratteri molto piccoli, io avevo un pacco già confezionato e ho chiesto soltanto una mano a trascrivere pochi dati sul modulo da allegare. Mi sono sentita urlare in faccia: “Non mi interessa se lei è ipovedente. Per stavolta passi, ma per legge non potrei aiutarla”. Poi, in concreto, non ci ha messo neanche cinque minuti ad aiutarmi, mi ha dedicato pochissimo tempo. Io mi sono messa a piangere, per come ero stata trattata. Lei mi ha visto scendere le lacrime sul viso, non riuscivo a smettere, ma non mi ha detto neanche una minima parola di conforto. Sono uscita singhiozzando, sentendomi umiliata per l’ennesima volta per una malattia che certo non ho scelto io”.
Conclude D.P.: “Ne ho parlato con il presidente locale dell’associazione che tutela le persone affette da retinite pigmentosa come me. Lui mi ha ribadito che non esiste nessuna legge che vieta di aiutare chi ha una disabilità. A questo punto parlo a nome di un’intera categoria: questi atteggiamenti arroganti e discriminatori devono finire, non ci meritiamo di essere trattati a questo modo”.
Questa, fin qui, la versione della signora. In attesa di una replica dell'ufficio in cui si sarebbe verificato il fatto.