Trascinatosi dolorosamente tra dure persecuzioni che lo hanno visto come nemico da essere sterminato fin dal XVII secolo, il lupo sta facendo il suo ritorno nelle Alpi grazie all'Operazione San Francesco, che negli anni '70 salvò dall'estinzione quel paio di centinaia di esemplari sopravvissuti negli Appennini. Era forse il minimo dovuto a chi, in quel fatidico momento nelle antiche foreste latine, permise, di fatto, ad una città ancora da fondare di fare l'Europa.
Secondo gli studi del progetto Life WolfAlps, che sta coordinando tutti i paesi transalpini per assicurare il ritorno della specie su tutta la catena montuosa, in vent'anni (1996-2016) il numero dei branchi nelle Alpi Occidentali piemontesi è aumentato da 1 a 27. L'anno scorso la popolazione di Canis lupus in Piemonte è stata stimata a 188, di cui 101 nella Provincia di Cuneo, la prima area ad essere ricolonizzata dai lupi in arrivo dagli Appennini. Questo significa che nelle nostre montagne, per ogni 100 chilometri quadrati vi sono in media circa 2 esemplari. In Liguria, inoltre, la Regione stima che la popolazione abbia raggiunto quota 200. Mettendo per un momento da parte le politicizzazioni di questo avvenimento epocale e le preoccupazioni degli allevatori, è legittimo chiedersi quali saranno le ripercussioni ecologiche ed ambientali sull'ecosistema alpino. I programmi di abbattimento, vociati dalla stessa Regione Liguria sulla scia della rabbia dei mandriani per via dei danni al loro bestiame, potrebbero infatti essere troppo precipitosi e non avere, come vedremo, l'effetto voluto. Numerose tesi hanno già sviscerato misure da prendere, come l'applicazione di certe recinzioni e l'adozione di alcune specie canine, per prevenire gli attacchi da parte di questo animale così terribilmente intimorito dall'uomo; allocare risorse finanziarie agli allevatori su questo fronte piuttosto che verso gli abbattimenti potrebbe rivelarsi più saggio sul lungo termine, soprattutto in un contesto in cui i numeri dei caprioli sono fuori controllo.
Per ottenere un'ipotetica finestra sul futuro, basta analizzare una situazione parallela, come quella del Parco di Yellowstone negli Stati Uniti, dove il canide fu reintrodotto artificialmente nel 1995. La decisione fu presa dai biologi del parco vista la sovrapopolazione allarmante di alci ed altri ungulati con il conseguente degrado della vegetazione e l'inefficacia dei programmi di abbattimento. La comparsa del nuovo predatore ha assicurato il ristabilimento degli alberi nelle piane alluvionali dei fiumi, come pioppi e salici, molto consumati dagli erbivori per via della loro posizione. Secondo gli ecologi William Ripple e Robert Beschta, solo il lupo avrebbe potuto garantire questo successo – testimoniato da un aumento di cinque volte dell'altezza media degli alberi rivieraschi dopo sei anni - perché la predazione non riduce soltanto il numero di alci, ma altera anche il loro comportamento, cioé dove e come foraggiano. Gli alci eviterebbero ora spazi aperti e brulli, a favore di zone più alte, scoscese ed afforestate come meccanismo di difesa (ciò potrebbe mitigare i frequenti danni ai coltivatori delle nostre valli nel caso lo stesso fenomeno si ripetesse qui).
Proprio come il semplice gesto di allattare Romolo e Remo avrebbe permesso il sorgere di uno degli imperi più potenti della storia, la sola pressione sugli alci sembra aver dato vita ad una nuova sconcertante “civilizzazione animale” a Yellowstone, con cui la ricerca scientifica sta faticando a tenere il passo. Osservazioni preliminari hanno rivelato l'arrivo di molte specie di uccelli attirate da alberi più rigogliosi, insieme con i castori che dipendono dalla vegetazione fluviale. 12 colonie di questi roditori sono bastate per creare nuovi laghi attraverso la costruzione di vere e proprie dighe promuovendo un'ampia biodiversità di pesci, anfibi, rettili e lontre. La competizione dei lupi con i coyote ha consentito un aumento di lepri e topi per una sussistenza di più rapaci, volpi e donnole, mentre le carogne lasciate indietro dai branchi sostentano corvi ed orsi, in precedenza minacciati dall'estinzione.
Tuttavia, questa “cascata trofica” - come definita dagli studiosi – non si ferma nel regno animale. Nonostante la scarsità di letteratura scientifica in merito, i lupi potrebbero aver iniziato indirettamente un processo di cambiamento del paesaggio attraverso una consolidazione idrogeologica. Pioppi e salici più maturi rinforzano gli argini, mentre gli specchi d'acqua dei castori attenuano alluvioni e siccità. Si pensa anche che si ridurranno l'erosione del suolo e le frane.
Ovviamente, l'ecosistema alpino è significativamente diverso da quello di Yellowstone Park da un punto di vista morfologico, climatico ed ecologico. Per questo i ricercatori si stanno dando da fare per valutare l'impatto che l'introduzione del lupo sta avendo e che avrà nei prossimi decenni. Dalla letteratura scientifica stanno emergendo i primi risultati: sebbene la densità del predatore nelle Alpi piemontesi sia di tre volte inferiore a quella in Yellowstone, una ricerca di Andrea Gazzola ed altri ha già potuto stabilire che il suo ruolo è stato “compensatorio” rispetto alle popolazioni di ungulati selvatici in Piemonte e Val d'Aosta.
Per avere un quadro più ampio come si sta ottenendo ora negli Stati Uniti bisognerà però attendere almeno fino al 2023, quando secondo l'ecologa Francesca Marucco del Centro Gestione Conservazione Grandi Carnivori del Parco Naturale Alpi Marittime giungerà il punto di saturazione della popolazione nelle Alpi Liguri e Cuneesi. È così che la “regione di dispersione” (cioè quella in cui i branchi dal sud si raggruppano per poi occupare nuove aree) si sposterà a nord nelle Alpi Cozie da dove il canide riconquisterà la porzione orientale della catena montuosa. Non si sa quale sarà l'effetto complessivo – positivo o negativo - del ritorno del lupo, ma visti i precedenti scientifici in altre parti del mondo rimarremo sicuramente sorpresi.