Sarebbe faciloneria pura sputar sentenze, intendendo con questo termine opinioni di pancia, sul caso degli arresti per corruzione e peculato che hanno scosso Prefettura e Questura di Savona. A giudicare dalla documentazione trapelata sinora, si è trattato certamente di un lavoro certosino degli inquirenti per ricostruire i rapporti tra i soggetti coinvolti. Molto c'è ancora da chiarire, ovviamente. L'arresto di due funzionari di rilievo, però, è abbastanza per tornare a riflettere sul ruolo delle Prefetture in Italia, sempre più spogliate durante gli anni del loro alto valore non solo di rappresentanza del governo, ma di presidio territoriale.
Ridotte ad imbuti burocratici, tra timbri e scartoffie, le Prefetture sono diventate bordature statali pachidermiche. Poco incisive, soprattutto, quando ci si trova di fronte a calamità naturali o problemi di ordine pubblico. La politica non ha alcun interesse a responsabilizzare questi centri di potere e, di conseguenza, può capitare che in qualche funzionario si affievolisca quel senso dello Stato che dovrebbe essere motivo non soltanto di lavoro, ma di vita stessa. La forza dell'abitudine e dell'intoccabilità, in certi casi, rammollisce.
Le razionalizzazioni e riforme della pubblica amministrazione (Madia compresa) non hanno mai toccato gli uffici territoriali del governo. E anzi, incredibilmente, persino quando il dibattito era popolato da spinte (fintamente) federaliste, nessuno mai osava mettere in dubbio la validità dell'ordinamento prefettizio. Oggi sopravvivono figure di tradizione giacobina-napoleonica-fascista in una realtà, sociale ed organizzativa, totalmente stravolta. Un anacronismo che era già evidente nel 1944, quando Luigi Einaudi scriveva un articolo dal titolo "Via il Prefetto!".
"Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto - scriveva Einaudi - Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico".
E merita anche la conclusione dell'intervento lungimirante che Einaudi pubblicò sulla Gazzetta Ticinese: "Che cosa ha dato all'unità d'Italia quella armatura dello stato di polizia, preesistente, ricordiamolo bene, al 1922? Nulla. Nel momento del pericolo è svanita e sono rimasti i cittadini inermi e soli. Oggi essi si attruppano in bande di amici, di conoscenti, di borghigiani; e li chiamano partigiani. È lo stato il quale si rifà spontaneamente. Lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura, nessuna unità è salda, se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo ed amiamo; e sono la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Così possederemo finalmente uno stato vero e vivente".