Savona - 03 agosto 2016, 17:00

Piaggio Aero, Villanova: da Abu Dhabi il deserto

Anche se si tirano in ballo il governo e la Golden Power, il futuro di Piaggio Aero dipende essenzialmente dall'azionista emiratino. Sinora i responsabili del fondo sovrano, che hanno tutto il timone dell'azienda, stanno al palo: scrutano cosa succede e procedono con gli altri affari internazionali, soprattutto coinvolgendo gli Stati Uniti, mentre lo stabilimento di Villanova diventa sempre più una periferia - sì, in questo caso, desertica - dei loro interessi.

L'incontro fissato con il sottosegretario alla Presidenza e il ministro dello Sviluppo Economico serve a mettere le consuete pezze. Il piano "lacrime e sangue" annunciato dall'ad Logli sarà di poco edulcorato, ma la sostanza non cambierà. Anzi, nello stabilimento ingauno già circola la lista dei cosiddetti esuberi, che poi coincidono con gli attuali cassa integrati. E lo spacchettamento è cosa certa, essendo fra l'altro l'unico modo per rimettere in gioco l'opzione Finmeccanica, oggi Leonardo, che sinora ha rifiutato di entrare nel capitale.

Forse adesso il declassamento di Piaggio va bene a Moretti; realizzare un'operazione da "ammortizzatore sociale" è più semplice... Finmeccanica è già partner dell'azienda ligure fornendo l'elettronica di bordo per i droni in sviluppo, ma sino ad oggi, da lì, non è arrivato nessun salvagente. Lo spezzatino è più economico e qualcuno, probabilmente, ne ha atteso e ne attenderà la cottura per bene.

Cosa significa una Piaggio Aerospace squisitamente militare? Alleggerita dalla produzione motori e dalla manutenzione civile, dovrebbe diventare quello che, sino a ieri, tutti invocavano: il laboratorio ipertecnologico dei droni del futuro. Sta agli Emiri spiegare se questa è ancora la scommessa. Sta al governo italiano chiarire se la benedetta "Golden Power" può tutelare l'interesse nazionale, della difesa e dell'economia, o se Piaggio (ovvero quel grande patrimonio tecnologico-umano che è ancora un nostro vanto) verrà sacrificata per non urtare la sensibilità degli investitori del Golfo Persico, che hanno mani in così svariati settori nostrani, dall'ex compagnia di bandiera Alitalia Etihad all'Unicredit (senza citare il petrolio, ovviamente), da far genuflettere tanti politici. 

Il management sottolinea che i costi di sviluppo del drone hanno drenato le casse. Tra le dune arabe non ne è arrivato ancora uno, di velivolo. Il ministero italiano della Difesa aspetta ancora adesso i tre sistemi P.1HH (6 velivoli e 3 ground control station in configurazione intelligence, surveillance and reconnaissance) che Piaggio avrebbe dovuto consegnare all'inizio del 2016. E per la finanza pubblica rimane un impegno pari a 180 milioni di euro (il costo di ciascun drone ammonta a circa 30 milioni di euro). A maggio un prototipo decollato dall'aeroporto di Trapani Birgi, è precipitato in mare. Un altro aereo senza pilota dello stesso tipo, poco tempo prima, era uscito di pista. 

Che cosa intende fare Mubadala, azionista assoluto di Piaggio Aero, di fronte a questi singhiozzi nello sviluppo del gioiellino? Adesso che ha ottenuto dagli Stati Uniti la licenza a importare il Predator, monoplano a pilotaggio remoto concorrente del prodotto Piaggio, le notizie dalla Liguria contano di meno. Da questo dipende il futuro della storica azienda aeronautica e le proteste dei sindacati o sindaci di Villanova o di Finale, purtroppo, rischiano di rivelarsi lamentele sottovoce. 

Felix Lammardo