L’addio all’Autorità Portuale di Savona e il suo accorpamento con Genova in un’unica Autorità di Sistema è ufficiale, con l’approvazione del Decreto Delrio che diventerà efficace con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, entro i prossimi 15 giorni. La perdita di un rilevante centro decisionale di indirizzo economico non poteva avvenire, per Savona, in un momento peggiore, con una crisi industriale che miete storiche aziende e centinaia di posti di lavoro, in assenza di qualsiasi iniziativa unitaria forte in difesa dell’interesse locale. Che non è provincialismo o localismo, ma tutela della residua capacità di produrre ricchezza economica e reddito per le famiglie. Dal 2007 la provincia di Savona ha perso il 10% della produzione, negli ultimi cinque anni sono state cancellate 2.000 imprese, il valore degli immobili si è ridotto del 40%, l’edilizia si è dimezzata.
Lungo l’arco di costa tra Varazze e Andora sono rimasti – con poche altre attività di nicchia – non più di un paio di aziende industriali di rilievo. Ed è rimasto il porto. Con i suoi investimenti programmati per 850 milioni di euro (510 pubblici e 340 privati), in parte già realizzati ed in corso di realizzazione per la quasi totalità. La piattaforma multipurpose di APM Terminals, la cui operatività è attesa per il 2018, vale da sola 700 milioni di euro e a regime sarà in grado di dare lavoro a 650 persone. La perdita di autonomia del porto non mette a rischio la realizzazione di questi investimenti – ovviamente legati a logiche economiche e ad un’esigenza di ammodernamento e potenziamento infrastrutturale che non hanno nulla a che vedere con questioni di “governance” portuali – ma ne modifica le regole e la gestione. Nel senso che sia la ricaduta degli investimenti sia le innumerevoli decisioni che dovranno essere prese per accompagnare questi investimenti a conclusione saranno un po’ meno nelle mani della comunità locale.
A meno che non si verifichino due condizioni, entrambe possibili, entrambe auspicabili: che sia concessa all’Authority di Savona un periodo transitorio (previsto dal decreto sino ad un massimo di 3 anni), e che l’Autorità di Sistema sia affidata a persone che sappiano davvero fare il loro mestiere, senza guardare in faccia nessuno, con l’unico obiettivo di far crescere i traffici, allargare i mercati, puntare i piedi per avere infrastrutture e tecnologie capaci di rendere gli scali davvero competitivi in Europa. Sono auspici. La richiesta dei 36 mesi di proroga dovrà partire dal presidente della Regione, motivandola al ministero, che comunque avrà l’ultima parola. I motivi, che sono corposi, e la determinazione della Regione nel sollecitare una risposta positiva faranno la differenza.