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Al Direttore | 20 gennaio 2016, 19:18

Il rapimento di Ennio Enrico Sardo

Il racconto di Roberto Nicolick.

Il rapimento di Ennio Enrico Sardo

Questa è la solita vicenda di odio, di prepotenza, di voglia di dominio ad opera di partigiani comunisti che spadroneggiavano nel periodo della guerra civile, in questo caso specifico, nella zona del Giovo, poco sopra Albisola. Ma soprattutto è  anche la storia di una omertà imposta con il terrore delle armi, di gente normale che vede persone innocenti uccise in modo sommario, magari dopo essere state rapite, picchiate e soprattutto derubate dei loro averi, ma che si volta dall’altra parte per paura o per pigrizia e acquiescenza. Accadde nel maggio del 1945, i giorni del delirio di onnipotenza delle squadracce  che imponevano il loro potere sulle alture che dominano Albisola e Savona. Tutti i cosiddetti cittadini per bene, tacciono a Giovo Ligure , a Pontinvrea, a Sassello, tutti continuano a dormire e a fare finte di nulla, quando le squadre della morte bussano di notte, alla porta del vicino, tutti si fanno gli affari loro, anche se vedono , si dimenticano molto opportunamente. Non ci si può fidare di nessuno, in quella zona vi sono dei voltagabbana, che ieri erano germanofili fascisti e oggi addirittura vestono la divisa di partigiano comunista e oltre al mitra mostrano una collana fatta con delle forbici da barbiere, sempre pronti a rapare i capelli di donne sospette di collaborazionismo e quindi da “purificare”, questa è cronaca.

In questa situazione vive Ennio Enrico Sardo,  un ragazzo appena diciassettenne , suo babbo Giuseppe è un ufficiale di complemento in servizio a Cento ( Ferrara), la sua famiglia con madre e una sorella, è sfollata a Pontinvrea, per evitare i bombardamenti aerei su Savona, sede di insediamenti industriali. Si tratta di una famiglia serena e tranquilla , ma il fatto di essere un ex ufficiale del Regio Esercito non è un vantaggio, soprattutto agli occhi dei Partigiani rossi, rossi per comodo, che ora gestiscono il potere nei piccoli paesi della cintura appenninica della Liguria.   

Ennio soffre di una dolorosa paradentite, che cerca di curare empiricamente con degli sciacqui di sambuco,  deve recarsi periodicamente dal medico dentista che ha lo studio a Sassello. Pedala per circa 12 chilometri, da casa sua, Pontinvrea sino a Sassello, non ha altro mezzo di trasporto che una bicicletta, un bene prezioso per quegli anni. 

Sabato 5 maggio del 1945, in mattinata, Ennio esce da casa e si dirige verso Sassello per recarsi appunto dal dentista, presso cui, quel giorno, ha fissato un appuntamento. Con sé oltre alla bicicletta, ha 4000 lire e la solita borraccia di acqua e sambuco per sciacquare la bocca che è dolorante. La madre e il padre lo salutano alle 13:30, quando esce di casa e da quel momento non lo vedranno più, neppure il medico che lo aspettava  lo vedrà. Alla sera, il ragazzo non fa ritorno a casa , i suoi  lo cercheranno lungo il tragitto ma non ne troveranno traccia almeno sino al 24 maggio 1945, quando il suo corpo in avanzato stato di decomposizione verrà dissepolto da una delle fosse scavate nei pressi di una fortificazione a Giovo, Forte Scarato.

Per giorni, dalle prime ore della scomparsa , il padre, disperato, bussò a tutte le porte per avere qualche notizia del figlio : Carabinieri, Questura di Savona, parroci dei paesi limitrofi, amici, vicini. L’ipotesi era che,  in bici avesse avuto un incidente per la strada e che magari il povero Ennio giacesse in qualche casa, ferito ed impossibilitato a muoversi e a raggiungere la famiglia.

Poi il padre si recò dal comando partigiano del distaccamento della II Brigata Mario Sambolino, e qui avvenne un fatto strano: uno dei capetti gli disse con fare aggressivo, che Ennio era addirittura, un appartenente, alle Brigate Nere, un torturatore, un assassino di patrioti. A queste affermazioni, completamente prive di fondamento, Giuseppe Sardo rimase interdetto e sorpreso vista la fantasia su cui erano basate queste parole. A questo punto il partigiano, forse resosi conto di aver fatto un passo falso, dichiarò che comunque non ne sapeva nulla di dove fosse finito il giovane. Il genitore uscì dal comando partigiano del Giovo,con un triste presentimento, convinto che in quel posto sapevano molto di più di quello che volevano far credere.

Intanto tutti i paesani evitavano il padre, lo dribblavano quando egli chiedeva informazioni del  figlio. Le voci sulla strana scomparsa del ragazzo, nel frattempo , giravano e uno dei partigiani decise di partire precipitosamente per il Sud America, abbandonando il posto di lavoro.  Una cappa di omertà aveva nascosto agli occhi di tutti la sorte di Ennio e non solo, anche di altri che erano stati assassinati e occultati in alcune fosse ignote a Forte Scarato, un sito ideale , lontano dagli sguardi curiosi, dove occultare corpi di persone scomode.

Una soffiata di un confidente, indirizzata ad un medico Savonese Francesco Negro , fece sì che fosse  recuperato il corpo del povero ragazzo, il cadavere giaceva in una buca, accanto ad altre, dove erano seppellite altre vittime ignote di esecuzioni sommarie dei Partigiani Comunisti.

Era il 24 maggio del 1945. La bicicletta di Ennio era sparita , la sua borraccia con il sambuco anche e soprattutto erano svaniti i soldi che egli aveva con sé: 4000 lire, soldi depredati sicuramente  da chi lo aveva assassinato.

Nessuna indagine venne mai intrapresa, nessuno pagò mai per questo omicidio. Fu una delle tante morti bianche compiute in spregio alla giustizia ed alla legge degli uomini e di Dio. Un quotidiano di Genova diede la notizia del ritrovamento delle fosse a Forte Scarato, senza dare troppi particolari. Non fu celebrata nessuna funzione religiosa , a causa delle minacce fatte alla famiglia Sardo e ora da tanti anni, il povero Ennio giace nella tomba di famiglia presso il Camposanto di Savona mentre i suoi assassini , ancora per decenni camminarono a testa alta per le strade del Savonese mentre tutti sapevano del crimine di cui si erano macchiati, impuniti dalla giustizia degli uomini. 

                                                                           Roberto Nicolick

 

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