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Al Direttore | 09 aprile 2015, 08:30

L'omicidio di Giuseppina Ghersi: il ricordo di Roberto Nicolick

L'omicidio di Giuseppina Ghersi: il ricordo di Roberto Nicolick

Sono passati 70 anni da quei giorni infernali in cui a Savona spadroneggiavano gli sciacalli, giovani che affermavano di essere partigiani  indossandone i simboli, portando le armi e decidendo chi meritasse di vivere e chi no. La città fu insanguinata da questa ventata di follia ammantata di ideologia ma che in realtà portò a facili arricchimenti, nutrendo il delirio di onnipotenza di questi giovani sciacalli. In fondo uccidere Fascisti non era male, anche se a cadere erano persone di ogni età che nulla avevano a che a spartire con il Regime Repubblichino. Con tutti i mezzi possibili si cercò di modificare la società Savonese usando la pulizia etnica corredata di una violenza incredibile anche per quei tempi oscuri. Moltissime famiglie Savonesi hanno pianto violenze, espropri, pestaggi, omicidi e sparizioni di propri congiunti senza che venisse resa loro Giustizia, questa era Savona nel 1945 e negli anni a seguire. Intere famiglie, in questa martoriata terra vennero depredate e trucidate, la famiglia Turchi, la famiglia Biamonti, Regina Vendrame, Ernesto Lorenza, Amilcare Salemi, Rosa Amodio, Francesco Negro, la Contessa Zaraudka e la sua cameriera, Francesca Binaero, Clotilde Biestra, Giuseppe Wingler, Giuseppina Ferrari, Lucio Guerra, si potrebbe continuare ma fra tutti spicca il nome di una tredicenne: Giuseppina Ghersi, una giovanissima Savonese figlia di commercianti di frutta e verdura. Fu rapita, stuprata e infine uccisa con il classico colpo alla nuca. I suoi genitori imprigionati da chi gestiva il potere a Savona, in quegli anni, furono talmente terrorizzati da dover andare via da Savona per evitare ulteriori lutti. Tutti , in quegli anni sapevano i nomi degli assassini di questa adolescente e le ragioni di questo assurdo crimine che non troverà mai alcuna giustificazione davanti a Dio e agli uomini, erano tre ausiliari della polizia partigiana, in preda a un delirio di onnipotenza che in questa povera città non troverà mai più uguali. Ora a distanza di 70 anni, la tomba di questa povera bimba e quella del suo assassino, distano una cinquantina di metri, ma la prima è meta di un continuo pellegrinaggio mentre quella del capo banda non è vistata da nessuno, neppure i suoi parenti, conoscendo il suo orrendo agire vengono a deporre un fiore sulla tomba di chi ha vissuto senza morale e senza scrupoli. Qualcuno, molto politicizzato, afferma che ricordare questi morti innocenti, è solo una volontà di strumentalizzare, in realtà è solo il ricordo cristiano di chi da vivo non ha trovato avvocati difensori ma almeno da morto viene ricordato nell’ambito di un culto Cristiano che ci appartiene.

Roberto Nicolick

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