Savona - 25 marzo 2015, 17:00

Querela ai giornalisti: il sindaco non demorde

Quindi il sindaco di Alassio, Enzo Canepa, vuole procedere sulla linea della querela ai giornalisti. Un'arma di pressione nella mano del potere, peraltro timida, perché se poi la bolla sparisce evanescente - non sussistendo motivi di tribunalizzazione - è solo un abbaiare immotivato, a spese del contribuente. Ed è, ovviamente, poco elegante. 

La giunta alassina a gennaio ha promosso gli strali legali contro un quotidiano cartaceo e quattro siti web, per una serie di articoli dell'ultimo biennio che riporterebbero "situazioni e circostanze del tutto prive di fondamento, oltre ad illazioni che raffigurano in modo falso la condotta dell’amministrazione". Non si fa riferimento a richieste di rettifica, ma si contesta una campagna stampa giudicata "denigratoria". Per l'Associazione Ligure dei Giornalisti (intervenuta sdegnata) quello del primo cittadino di Alassio è un atto deplorevole, che fa leva sulla pressione psicologica per limitare chi opera nell'informazione. 

Di politici, grandi o minimi, ai quali piace essere corteggiati e mai scontentati ne è pieno il mondo. Ma lo strumento della querela per via istituzionale va usato con grande attenzione e sensibilità, perché della sua opportunità si risponde alla cittadinanza intera e - in questo caso - a tutto un comparto di professionisti e al loro Ordine. 

Lo sconcerto è raddoppiato recentemente quando l'attuale sindaco alassino ha ribadito che non intende ritirare la querela, punzecchiato dal gruppo consiliare "Insieme X", che ha appunto chiesto di revocare l'atto dell'esecutivo siglato a fine gennaio. A scanso di equivoci, per amore della verità, ecco di seguito la giustificazione del sindaco parola per parola.  

"La corretta etica degli organi di stampa - dice Canepa - è quella di non andare come un ariete su quello che viene fornito come input da una determinata parte, ma l’etica impone che ci sia un’informativa, nel senso che il giornalista che viene stimolato a scrivere un articolo, deve eticamente accertare la verità, chiedere anche alla controparte il parere, non fare un botta e risposta come invece normalmente avviene sui giornali; non mi sono mai adeguato a questo sistema, nel senso che dietro ogni illazione non ho mai ribattuto perché altrimenti facevo il gioco delle parti, qui però non è corretto andare solo univocamente seguendo solo una voce e non ascoltare le altre, questo non è eticamente corretto e i giornalisti che fanno bene il loro mestiere sanno benissimo cosa voglio dire, pertanto noi la querela non la ritiriamo assolutamente". 

Il metodo della denuncia per spuntare le unghie ad un giornalista è brutto. Soprattutto se mira, più che a limare il graffio, ad allentare il controllo - dovere del cronista - sulla gestione della cosa pubblica. Certamente tutto può finire a tarallucci e vino, ma azionare la macchina dell'avvocatura civica ha un costo. Che sarebbe bene sostenere, per la collettività, solo quando non è temerario. 

Ci vorrebbero pene serie per le liti temerarie che erodono le casse comunali, quando il processo finisce con l'assoluzione del querelato o anche quando il caso, come ovviamente spesso accade, viene archiviato. I risarcimenti pecuniari in queste circostanze, pur a danno di un ente, dunque di tutti i cittadini (incautamente esposti dagli amministratori), non dovrebbero finire alla "cassa delle ammende", ma alle testate imprudentemente chiamate in giudizio, per renderle più forti e capaci di indagare meglio. Nuove inchieste, se si tratta di giornalismo autentico, ripagherebbero i cittadini in termini di trasparenza e conoscenza. 

Felix Lammardo