Come nove sono i mesi di gestazione. Nove giorni, a partire da sabato 6 dicembre, per cogliere l’essenza di un’artista nota in Albenga e amata: Manol Bozuffi, presente coi suo ilavori presso le sale espositive di Palazzo Oddo, con un’antologica di largo respiro.
Ed è mostra, la sua, a fare il punto d’una produzione artistica lunga tutta una vita, a mostrarci Manol assorta nella creazione… dialogando lei con il colore, con i pennelli e qualunque supporto si presti a veicolare quella pulsione che urge di dirle, le cose.Ed è universo minimo e vasto ad un tempo, il suo, ora felice ora pensoso, ché la vita è unnodo di gioia e dolore, di luce ed ombra.
E son tele… e son teli… quelli che lei ci porge. Figurazioni di maternità a dire il senso pieno della vita che si rinnova. Creature di cielo, alate, a sussurrare lieve quel bisognod’affrancarsi da ciò che sovente si fa greve all’anima. Breve galleria di ritratti, a dir la profondità dello sguardo, a coglierla, di là dal volto. E sono volti di chi la vita attende si spieghi, man mano, gioiosa d’aspettative; volti altri, di vita incisi, le rughe a dir la fatica d’essere, come il disincanto; la pensosità d’un istante a ponderare, a discernere la lucedall’ombra, il buono da ciò che è spurio, lo sguardo dell’artista a fuoco su quel nodo che in sé stringe la dualità delle cose, il bene come il male, il dolore come la gioia, ché dellavita tutto il volto si palesa in quei lavori.
E sono quello stesso dolore, quella stessa gioia, che respirano in Natura, declinandone il movimento incessante, poi che ogni cosa ch’esiste, sotto questo cielo, per sua stessanatura, risponde alla legge immutabile del mutamento. E davvero, osservando quei lavori, avviene di cogliere indizio d’una musa ritrosa, aspetto lunare ch’è dell’artista,intimamente connessa alle forze che, silenziose, premono alle soglie d’una sottilissima percezione. Musa, quella di Manol, a custodire l’intima fragilità ch’è della donna e dell’artista, poi che fragilità è un cristallo di Boemia finissimo, pronto ad infrangersid’una nota più alta, così che l’artista, la donna, per sé contesse un bozzolo a ripararsi dalmondo, dalla sua violenza, quella che ottunde e ferisce… a proteggere il nervo scoperto esensitivo di un’ispirazione che sempre duole e solo può gioire d’una Natura che cessò d’essere creazione d’un dio onnipotente, a divenire sfera intima e raccolta, zolla pulsantedi vita in che la vita, misteriosa, si gesta.Manol, o della natura in sé… quella selvaggia, che dirompe da macchie di ginestre emirti, che s’arruffa nel groviglio di rosai dai bocci spampanati, odorosi ancora nel farsiesangui d’un languore ch’estenua dolce.
E son crolli aerei di melagrane, globi aranciati di sole che, oltre la scorza dura, si fan vivoscrigno a gemme di che si sgrana il mistero della vita… come una preghiera.E davvero val la pena d’un passaggio a Palazzo Oddo, ad incontrare Musa, certo ritrosa escabra, ma fervida d’una suggestione fonda… quella ch’è di Manol… naturalmente…così…