Nuovo appuntamento, sabato 12 aprile, con la rassegna di musica popolare, “Viaggio nei suoni della tradizione”, iniziativa organizzata dalla Fondazione “G. M. Oddi” in collaborazione con l’Associazione MAIA e con il contributo della Provincia di Savona.
E prosegue, il viaggio, con i suoni e le voci di due giovani e prestigiosi protagonisti della tradizione musicale delle Quattro Province: Stefano Faravelli (piffero, voce) e Matteo Burrone (fisarmonica, voce). Questa, la proposta che l’associazione Musa ha affidato a un racconto di viaggi; viaggi brevi e lunghissimi, di paese in paese, fin verso le lontane “Meriche”, in cerca di lavoro, o su fronti di guerra.
Destini diversi, saldati tra loro da codici antropologici che, ancor oggi, conferiscono unità, al di là di frontiere amministrative dettate dall’arbitrio della storia; delle barriere naturali trasformate dal bisogno in passaggi e percorsi. Destini diversi d’un territorio che sempre più s’interroga sul proprio passato, a tracciare le possibili trame d’un futuro ancora incerto.
E lo spettacolo, ch’emerge dall’intarsio d’umanità e destini, vedrà cantori e testimoni di quella lontana tradizione, con letture di brani storico-letterari legati al tema del viaggio, dei viaggi; dei confini, come delle frontiere.
Le vie del grano e del sale, dunque… Del resto è noto come i lunghi crinali, distesi tra Genovesato e Valle del Po, siano stati da tempo immemorabile importanti vie di transito e commercio. Così, le carovane dei mulattieri, partite dal porto di Genova, lingo vie di sasso, fasce terrazzate e praterie, raggiungevano l’entroterra montano ed oltre, verso le città padane, ove le grandi fiere riunivano uomini, merci e animali, nella grande festa dello scambio e del commercio. Feste vive di grida e suoni; di versi e odori dei quali s’è persa memoria. Esperienze lontane nel tempo, travolte da una modernità che omologa e disperde.
E fu così che le grandi arterie autostradali, come le ferrovie, condannarono a un riposo perenne le forze antiche di muli e mulattieri, al pari di quelle dei contadini, come dei pastori che roncavano, seminavano e pascolavano le terre d’altura, nodo orografico tra Trebbia e Scrivia, porzione orientale di quell’Oltregiogo che dagli anni Settanta è nota col nome di “Quattro Province”.
Quattro Province: assai più di un’idea; idea in cui s’incontrano i confini amministrativi di Pavia, Alessandria, Piacenza e Genova; perché qui risuonano le note antiche d’uno strumento tradizionale (il “piffero delle Quattro Province”, appunto) che ancora raccoglie intorno a sé, nelle feste di paese, i valligiani, dalla modernità costretti all’esodo, che il cuore richiama su questi greppi, oggi inselvatichiti, ove ondeggiavano segale e grano, nel respiro d’una cultura agro-pastorale di montagna che seppe portarsi fino alle soglie della contemporaneità.
Scrivia e Trebbia: due fiumi che stringono in nodo il regno dell’antico oboe popolare, detto “pinfio”, altrimenti “pinfer” o “pinfiu”, a seconda delle località. Ma i suonatori, loro, al pari dello strumento, non conobbero confini amministrativi, andando a piedi, di paese in paese, di valle in valle. E fino ai primi decenni del Novecento, li accompagnò l’arcaica musa (cornamusa con chanter in do e bordone intonabile); quindi, la moderna fisarmonica che seppe conservare quegli elementi stilistici riconosciuti quale lascito dell’antico aerofono a sacca.
Sicché, in relazione al territorio appenninico tra il Tirreno e la collina oltrepadana, è difficile non ragionare della tradizione musicale che ancora lo anima. Ciò, nonostante il drammatico spopolamento che ha interessato i suoi paesi a partire dal secondo dopoguerra. Ed è un vasto repertorio di musiche, canti e danze tradizionali; repertorio sopravvissuto all’estinzione della cultura contadina montanara, che sarà possibile godere, sabato 12 aprile, per un viaggio che sia della memoria. Memoria delle cose buone che, silenziose, respirano tra montagne e valli.