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Attualità | 18 marzo 2013, 14:50

Carceri: in Liguria lavora solo il 20% dei detenuti.

Roberto Martinelli, segretario generale SAPPE : "Minimale impegno Regione Liguria su criticità penitenziarie"

Roberto Martinelli

Roberto Martinelli

“Trovo singolare che esponenti della Regione Liguria relazionino delegazioni internazionali sulla situazione penitenziaria regionale: è palese infatti che sul tema delle carceri liguri la Regione dimostri una approssimazione spaventosa" - scrive in una nota Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE - "Un anno e mezzo fa, ad esempio, l’Assessore Montaldo incontrò il SAPPE con la allora vice Presidente regionale Fusco e ci assicurò che avrebbero presentato a breve una piattaforma complessiva penitenziaria regionale che avrebbe trattato di sanita, formazione, edilizia. Non si è visto nulla.

Eppure la presenza di circa 1.850 detenuti nei 7 penitenziari regionali che dispongono di una capienza regolamentare complessiva di 1130 posti letto dovrebbe far comprendere con quante difficoltà lavorano le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, sotto organico di 400 unità in Liguria.

La presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta tra il 50 ed il 60% dei presenti e nella nostra Regione si registra anche una alta percentuale di detenuti tossicodipendenti (circa il 30% dei presenti). Record negativo è anche quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solamente il 20% dei presenti. La situazione è davvero allarmante e ritengo sia l’ora che anche la Regione Liguria faccia qualcosa. 

Chiedo l’impegno della Regione Liguria (anche attraverso il coinvolgimento delle Province e dei Comuni liguri, d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ed il qualificato e fondamentale contributo del Personale di Polizia Penitenziaria) a promuovere concretamente l’impiego dei detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale ligure. “I detenuti “occupati” in Liguria sono complessivamente 423 (320 nei servizi interni d’istituto – quasi poche ore al giorno e in attività interne ai penitenziari, come «scopino», lavandaio, inserviente alla cucina, «spesino» - e solo 103 non alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria). Mi sembrano cifre che non necessitano di alcun commento: se il primo elemento per rieducare un detenuto è il lavoro, e questo non c’è, di cosa parliamo? I detenuti hanno prodotto danni alla società?

Bene, li ripaghino mettendosi a disposizione della collettività ed imparando un mestiere che potrebbe essere loro utile una volta tornati in libertà. Ma la maggior parte di loro ozia tutto il santo giorno, alimentando tensioni costante e continue a tutto danno del già duro e difficile lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria. Perché non impiegare i detenuti in progetti di recupero del patrimonio ambientale e in lavori di pubblica utilità, dando davvero un senso alla pena detentiva? Spero e mi auguro che il Presidente Burlando e l’assessore Montaldo avvertano la necessità di farsi promotori della costituzione di un tavolo in Regione su questa previsione, coinvolgendo tutti gli Enti istituzionali e locali interessati”.

c.s.

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