“Il tesoro nascosto”, ovvero del coraggio di guardare in se stessi… a ritrovarsi, di Luca Buzzi e Brunella Canobbio.
Di norma, quella dello scrivere è attività solitaria, anche se, in realtà, il raccontare storie pertiene a una dimensione collettiva, comunque ci si ponga. Del resto, l’identità nostra, come l’idea che di noi abbiamo, costituisce di per sé una storia. Storia che costruiamo ad ogni istante, insieme agli altri, ciascuno attribuendosi un ruolo che sempre interagisce e varia con l’esistenze altrui.
Due differenti tipologie di poiesis, pertanto, entrambe, nell’essenza loro, di natura collettiva: il raccontare storie, come il costruirsi un’identità, storia essa stessa nel mondo. Avviene così che tale pratica, collettiva in essenza, si faccia esperienza condivisa anche nella forma, inducendo due individualità distinte a confrontarsi per la creazione di un unicum narrativo nel quale riconoscersi entrambi, col quale proporre una storia ad altri.
Ed è, questa, l’esperienza poietica vissuta da Luca Buzzi e Brunella Canobbio. Individualità distinte, per formazione ed esperienze diverse, l’una di fronte all’altra, a declinare una storia nella quale riconoscersi entrambi, nella quale irretire il lettore.
Il tesoro nascosto, il titolo di questo romanzo breve, a ricordare come ognuno debba custodire quella luce in fondo a sé, alimentarne la fiamma sempre, per mantenersi vivo alla vita e offrirsi l’opportunità di ricominciare, avendo cura di non dimenticare il dolore vissuto, poiché, in esso, è l’humus fertile di un’esistenza nuova, di una gioia che germina dall’aver compreso il senso più profondo di quel percorso esperito senza voltarsi indietro, andando avanti, poiché - soltanto - ci è dato d’avanzare per essere noi completi.
Narrato piano e semplice, quello degli autori; a dire d’esistenze come tante altre, avendo queste il coraggio di raccontarsi, nella propria quotidianità; di svelarsi nella propria nudità, offrendosi in pasto, consapevolmente, quasi si trattasse d’un rituale catartico, a liberarsi di quelle spoglie morte alla vita che c’imprigionano.
Perché la sofferenza, come il senso d’inadeguatezza, l’infelicità stessa, sono comuni a molti, nonostante sorrisi e bugie di circostanza; nonostante gli anestetici che la società ci offre a meno sentire noi quanto dolore sia nel vivere e nell’esistere contro noi stessi, violentati dall’altro, vilipesi, ignorati, come derisi, perché - sovente - è assai più facile irridere e giudicare che tentar di comprendere, a scoprire magari quanto l’altro sia simile a noi e specchio al nostro stesso dolore d’essere nel mondo.
E ci vuole coraggio a raccontarlo quel dolore; dolore che sovente sfuggiamo, come si sfugge la morte, un male, sfuggendo a noi medesimi, sovente, incapaci di dirci, come di ascoltare, lasciando infine che l’altro arrivi a sfiorarci il cuore con la punta delle dita, scoprendoci così noi frementi d’una vita nuova, capaci forse per la prima volta d’essere vivi a questa vita e grati per quanto da essa ricevuto di riso, come di pianto.
Ed è straordinario viaggio, quello esperito da Brunella e Luca, ciascuno con mezzi propri e velocità differenti a ritrovarsi, in ultimo, al medesimo traguardo.
Come straordinario il viaggio esperito dagli stessi protagonisti della storia, Iris e Dario, entrambi alla ricerca inesausta d’una cifra luminosa e tersa del proprio esistere. Iris, creatura di dolore, come la fenice risorta dalle sue stesse ceneri, si fa latrice a Dario, novella dea, d’un messaggio ch’è di rinascita, a significare come nella vita nulla sia irrevocabile, nulla definitivo, nemmeno l’ombra che sovente ci avvolge. Poiché, per ognuno, è uno spiraglio, un varco da attraversare, ad introdurci in un mondo che è di luce. Poi che l’infelicità non è condizione connaturata all’uomo, né castigo nel quale eternare i propri giorni dolendo.
Nella sofferenza, che s’abbraccia consapevol-mente, a infrangerne noi la crisalide, che vischiosa ci trattiene, è straordinaria opportunità di crescita a divenire noi altri da prima, più consapevoli di come la forza e la fiducia nel domani possano far di noi creature nuove, rivendicando un posto in quella luce, poiché vita stessa è luce e amore. E amore, nel suo significato più profondo, significa legare, stringere legami che avvicinano persone, annullando distanze, creando ponti.
Questo la storia di Luca e Brunella intese fare… creare un ponte; medium che sia di comunicazione con e al di là delle parole: quelle che seppero declinare insieme, armonizzando, le rispettive istanze nel narrato; quelle stesse omesse o espunte… figlie non vedute e inaudite d’una prassi che vide due individui lavorare fianco a fianco contessendo le fila d’un sogno, che è uno, come d’entrambi; entrambi accettando di perdersi in quella dimensione collettiva di un “noi”, che si comunica al mondo, a divenire esperienza condivisa; a divenire storia d’entrambi, di molti, nel mondo, appunto.
Brunella Canobbio nasce nel 1968 ad Albenga, dove attualmente vive e lavora. Da sempre appassionata lettrice, ha intrapreso un lungo percorso d’introspezione e ricerca della verità, anche attraverso l’insostituibile strumento del viaggio. Da tale esperienza vede la luce nel 2007 il romanzo Le parole degli ultimi (Edizioni Giraldi); nel 2009 pubblica il romanzo Nuda (EdiGiò); quindi, nel 2010, la silloge poetica a titolo Ritratto di poesia (EdiGiò).
Luca Buzzi nasce nel 1967 ad Alassio. Appassionato di fotografia, cinema e libri, lavora nella scuola in qualità di assistente tecnico di elettronica e informatica. Attualmente presta servizio presso il Liceo “G. Bruno” di Albenga. Oltre ad aver scritto a quattro mani con Brunella questo romanzo, ha realizzato le copertine degli ultimi suoi due libri.