Eventi - 28 ottobre 2012, 09:06

Ayala: «Qualcuno al Nord ha aperto le porte alla mafia» Oggi alla Ubik

L’ex magistrato del pool antimafia di Palermo, che sarà domani a Savona per presentare il suo nuovo libro “Troppe coincidenze”, parla in questa intervista di come le organizzazioni mafiose si siano infiltrate nei ricco Nord

Ayala con Falcone e Borsellino

Ayala con Falcone e Borsellino

Ayala, che è stato deputato e senatore per quattro legislature e sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2000, in una intervista approfondisce i temi del libro.  

Ayala, partiamo dalla pax mafiosa seguita all’attacco militare allo Stato del 1992 e del 1993. Cosa sta succedendo?  

«Credo sia necessario fare un’analisi ragionata sugli eventi del '92 e del’93. Sulla pax mafiosa, in particolare, mi sono posto una domanda. Nel ’92 e ’93 la mafia organizza attentati terroristici e, fra gli spunti emersi dalle indagini, salta fuori che l’obiettivo forse principale è l’abrogazione dell’articolo 41bis, quello che sancisce il carcere duro per i mafiosi. L’ultimo tentativo di questa campagna è stato il tentato attacco allo stadio Olimpico di Roma: per fortuna non funzionò il telecomando e non ci furono vittime. 

Da vent'anni la mafia ha rinunciato alla strategia terroristica e agli omicidi eccellenti. Ha rinunciato all'attacco militare allo Stato. Come mai? Si potrebbe pensare che abbia ottenuto l'abolizione del 41bis, ma non è così, perché il 41bis c’è ancora.

Allora non è questo il motivo. Siamo di fronte a qualcosa di nuovo, in un momento in cui la politica è in una nuova fase. Non è immaginabile che la mafia abbia rinunciato gratuitamente ad attaccare lo Stato. Tra l’altro c’è un dettaglio inquietante: che l’abolizione del 41bis fosse l’obiettivo è stato confermato da un mafioso terribile, Leoluca Bagarella, cognato di Riina, che nel 2002 a Trapani lesse un documento durissimo proprio contro il 41bis e disse: “La politica non ha mantenuto gli impegni”.»  

Ma quali impegni, dottor Ayala?  

«Guardi, se lo sapessi correrei in procura. E allora c’è qualcos’altro. Un’ipotesi è che ci sia una strategia economica. Nel libro parlo della situazione attuale. C'è riferimento all'infiltrazione al Nord. Io e Falcone lo avevamo detto più di vent’anni fa. E' intuitivo pensare ad un interesse della mafia ad inserirsi nel tessuto economico del Nord.

Perché? Perché la mafia guadagna con i traffici illeciti. E una volta che il denaro è stato riciclato è più facile investirli al Nord, giusto?  Oggi purtroppo abbiamo la certezza non solo di un inserimento nell'economia, ma anche di una presenza più radicata.

Sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa i consigli comunali di Bordighera, Ventimiglia, Buccinasco (MI), Desio (MI): se fosse accaduto al Sud ci saremmo meravigliati fino ad un certo punto. Ma ora il problema è serio, ed è stato sottovalutato per molto tempo. Prima si diceva: sarà un problema del Mezzogiorno. Ma nessuno si è accorto che al Nord la mafia non è arrivata ad usare a tritolo, ha preferito bussare alla porta. Evidentemente qualcuno ha avuto la convenienza ad aprire.  

E’ un fatto: la mafia condiziona i poteri pubblici. Ventitrè anni fa parlai dell'esportazione del modello mafioso: me ne dispiaccio e me ne compiaccio al tempo stesso. Con un'attività più attenta si poteva frenare il fenomeno. Ad essere generosi possiamo parlare di una sottovalutazione del problema. Sembrava impossibile che questo sistema si innestasse in tessuto sano. Purtroppo in alcuni casi sono state aperte le porte alla mafia».  

Bisognerà attendere una verità processuale.  
«Questo libro è fatto di ragionamenti, è giusto renderli noti. La mia finalità è divulgativa: offro strumenti per capire, certo che la verità sarà accertata dai magistrati impegnati nelle indagini».  

Lei ha fatto anche politica. E’ impossibile pensare alla mafia senza immaginarla innestata in parlamento...  

«Il problema è sempre stato inquadrato nei termini dell’emergenza mafiosa. Niente di più sbagliato: una percezione che nasceva all'indomani di una strage, e riempiva giornali, imponeva alle istituzioni di fare qualcosa. Nel momento in cui la mafia ha abbandonato la strategia militare, di emergenza non si parla più. E’ come se fosse stato abbassato il rating della priorità della lotta alla mafia: ma l'agenzia che decide il rating è la mafia stessa. Ciò non toglie che la lotta alla mafia ci sia, eccome».  

Il sistema bancario ha stretto i lacci della borsa, concede meno soldi alle imprese. Non trova che così si possa creare terreno fertile per la mafia?  
«E’ vero, è un rischio concreto: per un verso il sistema bancario restringe l’accesso al credito, dall'altro c’è un sistema che ha interesse ad investire molto denaro. Senza contare le mafie straniere. Insomma: il momento è difficile. Io ci metto la mia capacità di analisi, se avessi in tasca le soluzioni ne sarei felicissimo».  

Come spiegherebbe ad un bambino cos’è un mafioso?  
«Gli direi che è un criminale. In genere si presentano come persone serie, disponibili. Acquisiscono prestigio, si accreditano. Al Nord il sistema funziona. Nel libro cito una cosa scritta da Sciascia ne Il giorno della civetta: “La linea della palma va salendo, è già arrivata a Roma e continua a salire”. Cosa voleva dire? Che la società si è meridionalizzata. Al diritto si va sostituendo la logica del favore, la politica ha trovato comodo stringere accordi, soprattutto la politica locale. Si è innescato un meccanismo clientelare. Si è creata anche al Nord una situazione simile a quella del Sud. Le infiltrazioni nei Comuni sono la prova che la mafia è andata oltre l'investimento economico».  

Esiste una zona franca?

«Dove non ci sono soldi e dove la società si basa sul rispetto delle regole. E dove il profitto è perseguito, ma secondo le regole. Ma le dirò che al Sud qualcosa si muove, aumentano gli imprenditori che non pagano il pizzo, Confindustria tiene ai margini chi paga il pizzo. Ci sono segnali positivi, sono fiducioso».

(Giuseppe Ayala)

Giuseppe Ayala

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