Fermo restando che i lavoratori, qui come in qualsiasi altro sito, sono sempre l’anello più debole, quello che ci rimette di più, quello sacrificabile, la vertenza Ferrania Technologies ha dimostrato, anche oggi, che in Italia c’è spazio per una nuova professione: il cassintegrato a vita. Ripeto, non è un giudizio negativo sui lavoratori (potrebbe esserlo, invece, considerare che la presenza di lavoratori a presidiare l’incontro di ieri era davvero esigua, ma del resto è un appunto che da sempre accompagna le vertenze e le lotte sindacali in Val Bormida), ma dà da riflettere, e deve far riflettere, la considerazione che nell’affrontare un discorso di rilancio industriale, produttivo e occupazionale di un sito, il risultato che alla fine si strappa, o si auspica di strappare come meta agognata, non è il nuovo insediamento, nuovi fonti occupazionali, l’arrivo di investitori, ma il metterci l’ennesima pezza, l’ennesimo ricorso alla cassa integrazione.
Perché, al di là delle reciproche posizioni, delle dichiarazioni, dei tavoli o di quant’altro, l’obiettivo per cui ci si tornerà ad incontrare, grazie alla disponibilità del Governatore Burlando, già in settimana o al massimo lunedì, è proprio questo: ottenere un altro anno di cassa integrazione (in deroga). Certo, l’alternativa è la mobilità, il “fuori tutti” o quasi, ribadito dall’azienda anche ieri, con un’analisi che potrebbe anche mettere male confutare: “In 6 anni, dal 2005 al 2011, a fronte di un fatturato di 210 milioni di euro, l’azienda ha accumulato perdite per 60 milioni di euro”, ha affermato perentorio l’amministratore delegato Giuseppe Cortesi. Ma è altrettanto vero che, se andasse in porto (e non è detto) l’ipotesi di un 2013 superato con un altro anno di cassa, si arriverebbe a otto anni, per alcuni anche di più: otto anni di “pezze” per tenere in piedi, con un po’ di costoso nastro adesivo un castello di carte (e la dignità dei lavoratori se non la sopravvivenza di 200 famiglie) in attesa di cosa? C’è qualcosa che non va, c’è qualcosa di malato in tutto questo.
Probabilmente, come ha fatto notare Giorgio Cepollini, della Cisl, l’infezione era presente sin dall’inizio, da quel portare in dote, a chi avrebbe “salvato” (e non è stato fatto) la Ferrania, una centrale a carbone ed una a biomasse. La prima, piatto più succoso, poi implosa in sé stessa, la seconda fonte di ricorsi giudiziari poi conclusi a favore dell’azienda. Entrambe, comunque, una sorta di sciolina lungo un pendio che si è fatto via via più ripido, con il dissolversi dell’ipotesi laminatoio di Malacalza, la cura dimagrante nella cordata di soci, le promesse mai decollate dell’ex ministro Scajola sul polo fotovoltaico (da polo fotovoltaico capace di dar lavoro a 380 persone, a azienda di assemblaggio dei panelli in cui ne lavorano 70).
Tutti hanno responsabilità.
Ed ora non rimane che sperare in un altro anno di cassa. L’azienda, nell’incontro all’Unione Industriali, ha ribadito la volontà di procedere alla messa in mobilità di 198 dipendenti, come naturale conseguenza di due anni di cassa integrazione per cassazione di attività. La trattativa con il sindacato si è quindi rotta ancora prima di entrare nel merito. L’incontro successivo con Burlando e Vesco ha aperto un leggero spiraglio. Non per altre soluzione occupazionali o produttive: persino il tanto declamato eolico a Ferrania sembra essere ormai un’ipotesi destinata ad entrare nell’elenco dei progetti mai decollati. Ma per un altro anno di sopravivenza: la Regione sarebbe disponibile a garantire un mese di cassa in deroga per arrivare alla fine dell’anno.
Intanto si cercherà, anche attraverso l’atteso tavolo sulla crisi in provincia di Savona previsto a Roma, di ottenere un ulteriore anno di cassa integrazione in deroga. Non si sa ancora la posizione dell’azienda rispetto a tale ipotesi, fosse percorribile. Sembra che l’azienda sia disponibile a sedersi al tavolo, insieme a istituzioni e sindacati, che Burlando si è detto pronto a convocare gia in settimana. E il non rifiuto al confronto è comunque un dato positivo. Forse anche questa volta ci si metterà una pezza.
Chissà se si parlerà mai davvero di futuro.