Attualità - 06 settembre 2012, 15:29

Lega Pesca: no alle trivellazioni, si ad uno sviluppo sostenibile

            Il mondo della pesca denuncia che le attività estrattive offshore continuano a rappresentare una gravissima minaccia e in gran parte ancora non quantificata per gli equilibri ecosistemici degli ambienti marini, e chiede di porre un freno alla corsa alle trivellazioni nel Mediterraneo riaperta dal decreto sviluppo, perché non vi sono adeguate garanzie per un uso realmente sostenibile del bene mare, dichiara Ettore Ianì, presidente di Lega Pesca.

            Mentre già si preannunciano nefaste le conseguenze del via libera UE alle autostrade del mare, per rilanciare il settore del trasporto marittimo, siamo ben consapevoli che anche l'industria energetica è destinata ad irrompere con la forza di lobby potentissime, così come attraverso il richiamo al principio di pubblica utilità, nella crescente competizione dei molteplici interessi che insistono sulla fascia costiera, dichiara Ianì. Ma esigiamo che gli stessi sforzi imposti con intransigenza alla pesca per un uso sostenibile del mare siano richiesti, con il medesimo rigore, da parte di settori ben più forti e più impattanti. E' da un mare sano che dipende il futuro della pesca e del turismo, così come la qualità della nostra alimentazione.

            Gli effetti della pesca, pur trattandosi di impatti spesso reversibili, sono soggetti a valutazioni rigorose: non altrettanto si può dire degli impatti di usi come l'estrazione di idrocarburi, che pure nella maggior parte dei casi innescano conseguenze irreversibili per l'ambiente marino. Che siamo ancora in alto mare per la inadeguatezza delle attuali pratiche di gestione del rischio lo dimostra lo stallo che si registra sulla valutazione di impatto che accompagna la proposta di regolamento europeo sulla sicurezza delle attività offshore di prospezione, ricerca e produzione degli idrocarburi( COM (2011/688) elaborata a seguito del disastro della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico.  Non vi è accordo sulla correttezza dell'analisi costi/benefici, e ancora manca una metodologia accertata e condivisa per la valutazione del rischio: questo è inaccettabile da parte di un settore, come quello della pesca, che, in nome della tutela delle risorse ittiche, fronteggia oggi la prospettiva di una riforma europea che mira, entro il 2020, ad un ulteriore riduzione della flotta del 30%, con nuovi ed elevatissimi costi in termini occupazionali e sociali, dopo  che i sacrifici degli ultimi 10 anni hanno portato alla perdita di circa 20.000 posti di lavoro, senza peraltro tradursi in benefici reali né per le risorse, né per l'economia ed il lavoro.

            Per una corretta gestione dello spazio marino, invochiamo il pieno rispetto del principio precauzionale e del cosiddetto approccio ecosistemico, che impone di tener conto dell'insieme delle interazioni degli usi umani del mare in tutte le componenti, ivi compresa una rigorosa valutazione dell'impatto potenziale delle diverse attività che insistono sull'ambiente marino e sulle sue risorse viventi.

            Le richieste e i permessi per le nuove trivellazioni cui il decreto sviluppo dà via libera riguardano un'area di circa 28.000 kmq di mare che interessano tutto l'Adriatico centro-meridionale, il Mar Ionio, il Golfo di Oristano e quel giacimento preziosissimo per la pesca rappresentato dal Canale di Sicilia. Si tratta di ecosistemi delicati e complessi, di elevata produttività per la pesca, importanti per le biocenosi bentoniche, per la produzione di specie pelagiche e di specie pregiate, come il gambero rosa siciliano.

            Le attività estrattive offshore comportano gravi impatti sulla pesca, diretti, per la sottrazione di aree di attività, ed indiretti, per le alterazioni di habitat sensibili (posidonieti, fondi detritici e coralligeni,) e di habitat critici (aree di riproduzione e aree di rifugio per l'accrescimento delle forme giovanili). E questo senza considerare l'impatto irreversibile di eventuali incidenti e disastri ambientali, che, insieme alla pesca, rischierebbero di ipotecare il futuro di interi settori produttivi, come il turismo, strategici per uno sviluppo realmente sostenibile del nostro Paese.

 

 

 

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