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Attualità | 19 agosto 2012, 15:19

Dal caso Ilva un bigino per amministratori che vogliono prevenire o risolvere conflitti ambientali, sanitari, sociali

Di Daniela patrucco, tratto da Linkiesta.it

Dal caso Ilva un bigino per amministratori che vogliono prevenire o risolvere conflitti ambientali, sanitari, sociali

In tutti i conflitti ambientali che si rispettino, l’oggetto del contendere tra cittadini, comitati, amministrazioni e imprese è l’impossibilità – supposta - di stabilire se una certa produzione è causa di inquinamento ambientale e se e in quale misura tale inquinamento pregiudichi il benessere e la salute della comunità (locale).

In specifiche aree i dati sanitari confermano incidenze di patologie o mortalità superiori alla media ma, nonostante sia stato ratificato dall’Unione Europea, le Pubbliche Amministrazioni raramente si appellano al “principio di precauzione” (art.15 della Dichiarazione di RIO del giugno 1992) per emanare provvedimenti restrittivi a tutela della salute dei cittadini. Si cercano sempre le prove provate, sebbene il senso sia molto chiaro: “Quando una attività crea possibilità di fare male alla salute o all’ambiente, misure precauzionali dovrebbero essere prese, anche se alcune relazioni di causa-effetto non sono stabilite con certezza dalla scienza”.

Così i conflitti proseguono, le posizioni di polarizzano, partono le diffide e seguono gli esposti alla Procura della Repubblica. Intanto che proseguono indisturbate la loro opera di avvelenamento, nei casi di produzioni interessate da Autorizzazione Integrata Ambientale, partono eventualmente anche osservazioni al Ministero dell’Ambiente. Normalmente non succede letteralmente nulla, nel senso che nessuno si preoccupa di verificare la sussistenze delle ipotesi formulate, e sostenute con prove e dati, da cittadini e comitati; a volte viene aperto un fascicolo dalla Procura, che spesso si perde nella notte dei tempi; a volte, e in ultima istanza come nel caso dell’Ilva, il GIP decide di intervenire e verificare se le ipotesi formulate abbiano un senso. E cosa fa? Ciò che avrebbe potuto o dovuto fare l’amministratore di turno (in particolare il sindaco, primo responsabile della salute dei cittadini) che invece, se va bene, ha chiesto all’Arpa di verificare che le emissioni siano nella norma. Ma qui si torna a monte della vicenda: le emissioni di chi? Produzione industriale (quale), trasporti, altro?

Il GIP Patrizia Todisco, nel caso dell’Ilva, si è posta un certo numero di questioni sulla tipologia di impatto ambientale derivante dalla produzione; sulla normativa vigente, la tecnologia e processi produttivi utili per rispettarla; ha incrociato i dati ed ha verificato come, quanto, se e perché l’ILVA inquina. Poi si è chiesta quali sono le patologie normalmente correlate a quella tipologia di inquinamento ed è andata a valutarne l’incidenza nel territorio tarantino, con particolare attenzione ai quartieri limitrofi all’impianto. Sulla base dei risultati ottenuti, attraverso due distinte perizie, ha preso le sue decisioni.

Messa così non sembra molto difficile: non ha neppure richiesto troppo tempo (tre o quattro mesi), non è un’invenzione recente (almeno vent'anni)ed è in grado di rilevare l’eventuale relazione causa-effetto tra l’inquinamento ambientale e le patologie di un territorio.

Per agevolare l’opera di amministratori sprovveduti che volessero operare un “ravvedimento operoso”, dal decreto di sequestro preventivo ILVA emesso dal GIP di Taranto, riporto i quesiti a cui hanno risposto i periti incaricati dal GIP. Mi sembra una buona traccia, utilizzabile in un buon numero di conflitti ambientali che interessano il nostro Belpaese. Una specie di bigino, eventualmente da modificare con la funzione trova/sostituisci di word per adattarlo alle specifiche situazioni locali.

• Quesiti della Perizia chimico - ambientale

In particolare, ai periti dottori Mauro Sanna (chimico industriale), Rino Felici (laureato in tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, funzionario presso l’A.R.P.A. Lazio), Nazzareno Santilli (ingegnere chimico, funzionario presso l’I.S.P.R.A.) e Roberto Monguzzi (chimico), veniva affidato l’incarico di accertare (v. verbale di udienza dell’08.11.2010):

1. se dallo stabilimento Ilva s.p.a. si diffondano gas, vapori, sostanze aereiformi e sostanze solide (polveri ecc.), contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori operanti all'interno degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto e, eventualmente, di altri viciniori, con particolare, ma non esclusivo, riguardo a Benzo(a)pirene, Ipa di varia natura e composizione nonch. Diossine, Pcb, Polveri di minerali ed altro;
2. se i livelli di Diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti, appartenenti alle persone offese indicate nell’ordinanza ammissiva dell’incidente probatorio del 27.10.2010, e se i livelli di Diossina e Pcb accertati nei terreni circostanti l'area industriale di Taranto, siano riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento ILVA di Taranto;

Leggi il resto: www.linkiesta.it/blogs/voglio-cambiare-aria/dal-caso-ilva-un-bigino-amministratori-che-vogliano-prevenire-o-risolvere

 

 

 

 

 

 

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Daniela patrucco - Linkiesta.it

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