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Attualità | 03 agosto 2012, 13:08

La scuola dei ricchi

Dopo anni di tagli, Monti bastona gli studenti con l'aumento delle tasse universitarie. La scuola e l'università tornano ad essere un privilegio dei pochi (rimasti) coi soldi

Don Milani e i ragazzi di Barbiana. Fu uno dei primi preti che attraverso il libro "Lettera ad una professoressa" denunciò il classismo nella scuola pubblica.

Don Milani e i ragazzi di Barbiana. Fu uno dei primi preti che attraverso il libro "Lettera ad una professoressa" denunciò il classismo nella scuola pubblica.

Don Milani, il prete che a Barbiana aiutò i bambini più poveri (quelli delle campagne) a studiare, aveva una concezione molto diversa della scuola: un diritto per  tutti e non un privilegio.

Per dimostrare come la scuola favorisse le classi dei ricchi, "i cosiddetti "Pierini", in un testo scritto assieme ai suoi ex allievi (Lettera ad una Professoressa), Don Milani prendeva l'esempio degli esami che questi ragazzi dovevano sostenere assieme agli altri di città, per poter accedere le classi successive: nei temi di italiano ad esempio, un titolo frequente era grossomodo "descrivi l'esperienza di un tuo viaggio in treno". Com'era pensabile che i figli dei contadini di Barbiana, che andavano a scuola anche la domenica, percorrendo chilometri a piedi sotto la neve,  avessero mai avuto la possibilità di fare un viaggio, per di più in treno?

Questo accadeva tra gli anni cinquanta e sessanta, periodo in cui l'analfabetismo era ancora diffuso nella maggior parte della popolazione. E molti pensano che le cose, da allora, siano cambiate.

Purtroppo non è così. E' di certo vero che il miglioramento della qualità della vita, col boom economico degli anni ottanta, oltre che allo sviluppo delle tecnologie e di internet, ha notevolmente ridotto (ma non eliminato) l'analfabetismo. Inoltre l'accesso all'università, per anni, è stato reso possibile dalla stabilità economiche e dagli enormi sacrifici compiuti dalle nostre famiglie, per cui l'università stessa è diventata un "obbligo morale" al pari della scuola dell'obbligo, che ha visto l'innalzamento dell'età obbligatoria.

Ma è altrettanto vero, ed oggi lo si paga sulla propria pelle, che il concetto di scuola per i ricchi non è cambiato affatto, e che è ancora attuale la selezione ed il concetto di scuola di classe, descritta così mirabilmente dal prete "rivoluzionario", che "non era comunista ma amava i comunisti".

Ci sono alcuni fattori essenziali che dimostrano come oggi la scuola, e l'università in particolare, siano tornate ad essere un lusso, un privilegio.

1 - In primis il mercato dei libri, che impone il cambiamento degli stessi ogni anno, anche nella scuola dell'obbligo: costringere cioè i genitori ad acquistare continuamente nuovi tomi, che troppo spesso restano incartati nel cellofan. Stessa situazione all'università: alcune facoltà come giurisprudenza, o medicina, prevedono l'acquisto "obbligatorio" di tomi il cui prezzo si può aggirare attorno ai 300/500 euro l'uno. Se a questo si aggiunge la legge che impedisce di fotocopiare un libro per oltre il 15%, è chiaro che non tutti possono averne accesso, almeno "legalmente".

2- In secondo luogo lo sperpero di soldi pubblici destinato al finanziamento alle scuole private (quasi sempre gestite dalla Chiesa o da organizzazioni ad essa affiliate), anche indirettamente tramite, ad esempio, i buoni scuola: lo stato che paga ai ricchi scuole di lusso e di dottrina, mentre gli altri studiano in istituzioni scolastiche pubbliche nel degrado e senza strumenti. 

2 - In terzo luogo ci sono le tasse: proprio in queste settimane (dopo anni di tagli ai finanziamenti alle scuole pubbliche, università e ricerca) lo stato, con quella "manovra" (i più intelligenti la chiamano attacco ai lavoratori) denominata Spending Rewiew, ha imposto un innalzamento delle tasse "volte a colpire  i fuoricorso", ma che in realtà colpiscono indiscriminatamente tutti gli studenti universitari. Questi aumenti, che vanno dal 30 al 100 % della quota delle tasse da pagare, viene giustificata (anche se non può essere in alcun modo giustificata né compresa) con la tendenza degli studenti ad impiegare più tempo del necessario a completare il ciclo di studi universitari, andando quindi fuoricorso.

Questo ovviamente senza l'interesse dello Stato a considerare le ragioni che spingono (o talvolta costringono) gli studenti a dilatare nel tempo lo studio.

Innanzitutto quelli che vengono chiamati fannulloni, sono ragazzi che hanno perso la voglia di studiare: alcuni scoraggiati da una prospettiva futura in cui la laurea, nel mondo del lavoro, si rivela un pezzo di cartastraccia (chiediamolo a tutti quei disgraziati laureati sfruttati nei call-center), per cui tardano il più possibile "l'inevitabile fallimento"; altri invece non considerano lo studio come strumento utile, perchè troppo affascinati dal miraggio del successo facile, proposto (anzi, inculcato) dal media televisivo e da una cultura del consumo imposta da chi oggi ci governa.

Don Milani avrebbe definito questo come il fallimento della scuola: se un ragazzo, anche problematico, non riesce a trovare stimoli sufficienti nel contesto scolastico per appassionarsi allo studio(almeno ad una materia), la scuola non può e non deve "escluderlo" o punirlo, poichè è colpa del sistema scolastico se non è stato in grado di risolvere il problema. Un problema quindi sociale, che tocca non solo la scuola dell'obbligo, ma anche l'università.

Poi ci sono i fuoricorso involontari: una malattia nel periodo degli esami, un disguido di un qualsiasi genere, ed ecco che si scala all'anno fuoricorso senza batter ciglio.

Infine ci sono quelli costretti ad andare fuoricorso: costretti dalla situazione economica, a dover studiare e lavorare contemporaneamente. Ragazzi che non solo devono faticare il doppio per poter dare gli esami, magari passando anni di "reclusione" tra studio e lavoro, solitudine e frustrazione, ma vengono doppiamente puniti con l'aumento delle tasse, proprio perché in condizione economica (chiamasi classe sociale) inferiore agli altri. Questo, ovviamente, sempre che la facoltà non imponga la frequenza obbligatoria, fattore che impedisce l'accesso a buona parte degli studenti.

A tutto ciò andrebbe aggiunto il ruolo, oramai fondamentale per l'accesso al lavoro, dei master: specializzazioni aggiuntive sempre richieste nei lavori più "qualificati", malgrado la retribuzioni e le condizioni di lavoro non siano "proporzionali". Master il cui accesso è consentito solo a cifre costosissime (quasi sempre a tre zeri, con quote che arrivano a superare i 10 mila euro annui), offerti da istituti mal dislocati sul territorio, e che costringono gli studenti al trasferimento o a spostamenti continui, faticosi, non sempre attuabili. Master che però, se non frequentati, rendono la laurea praticamente inutile.

3 - La condizione economico lavorativa, quindi, alla base del fenomeno dei fuori corso, ma anche alla base dell'intero sistema di accesso all'istruzione, ci porta alla terza "prova" del classismo di questo sistema.

La nostra generazione, quella degli anni '80 - '90, ha una fortuna, cioè quella di avere la famiglia (chi più chi meno ovviamente) la cui condizione economica, almeno per il momento, permette, non senza sacrifici, di sopperire alle carenze e al classismo del Sistema Istruzione aiutando i propri figli: chi resta a casa fino al termine degli studi, chi ha aiuti economici per le tasse e i libri, chi ha aiuto per gli affitti o per il trasporto.

Purtroppo però le condizioni del mondo del lavoro, la condizione delle pensioni, la cancellazione di alcuni diritti conquistati come l'articolo 18, minano le sicurezza delle famiglie e la loro possibilità di dare un aiuto concreto. Siamo di fronte ad un documentato, e ancor non finito, pesante impoverimento delle classi meno abbienti del nostro paese. Non solo gli ex poveri sono aumentati e diventati poverissimi, ma anche moltissimi  ex appartenenti al ceto basso e medio, ma prima capaci di prodursi un reddito, oggi si trovano poveri e spesso privi di tutto o di buona parte di quel reddito.

Quante persone con figli perdono quotidianamente il lavoro, magari a cinquant'anni, a causa della chiusura delle aziende dove lavorano, spesso pilotata dagli stessi partiti che oggi accolgono con gioia questo governo? Quanti di loro riescono poi a trovare lavoro, magari precario? E quanti di loro riescono a continuare a dare un supporto agli studi dei figli? Quanti, al contrario, sono costretti a chiedere aiuto, anche economico, proprio ai figli, per poter finire di pagare anche solo le rate del mutuo della casa? Quante persone oggi si indebitano con le banche attraverso i microprestiti solo per poter permettere ai figli un anno in più di università, per poi essere dalle stesse banche strozzati e finire sul lastrico?

Oggi il numero di questi casi è esponenzialmente crescente, ma ancora "contenuto". Se però a questa situazione si aggiunge la condizione di precario, o disoccupato<s>,</s> per chi esce dall'università, quando già oggi le aziende richiedono "apprendisti con esperienza a rimborso spese full-time e la disoccupazione tocca il record storico, cosa ne resterà delle conquiste ottenute dopo e anche grazie a quanto denunciato dal prete di Barbiana?

La risposta è semplice e matematica: la generazione successiva alla nostra non potrà godere neppure dell'aiuto della famiglia, ultimo ammortizzatore sociale del quale invece la nostra ha potuto usufruire. E il risultato sarà che l'accesso al sistema d'istruzione sarà nuovamente, ed esclusivamente, elitario!

Matteo Loschi

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