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Attualità | 01 agosto 2012, 09:26

L'ospedale di Albenga e la guerra tra cugini

Accusare i genovesi al posto di chi realmente taglia: minuziosa opera di dirottamento della rabbia ingauna

L'ospedale di Albenga e la guerra tra cugini

Di fronte alla chiusura di un servizio fondamentale come un ospedale (come nel caso di Albenga), salvo casi particolari, la mobilitazione è d'obbligo. Ma ancor più la mobilitazione dovrebbe essere d'obbligo per combattere non solo la chiusura, ma le ragioni della chiusura: lo sperpero di milioni di euro di fondi pubblici per le spese militari, i privilegi della casta, le opere pubbliche inutili come la Tav etc.

Non v'è dubbio che la massiccia partecipazione (cinque mila persone) sia un segnale forte di una risposta ad una situazione intollerabile.

Il rischio che però si corre in questi casi, quando si cerca la solidareità di tutti al problema, è che qualcuno tenti di strumentalizzare la rabbia deviando l'attenzione dal vero problema: i ricchi che tagliano servizi ai poveri.

Purtroppo infatti accade spesso (e Albenga non è eccezione) che le mobilitazioni non vadano a centrare le origini del problema (la crisi del sistema economico vigente), trasformandosi invece in una guerra tra poveri: l'Ospedale di Abenga deve rimanere aperto, che vadano a tagliare altrove.

Un messaggio nefasto, che se fatto passare (neanche troppo) tra le righe dal Presidente della Provincia di Savona, assume una valenza particolare.

Non si sa bene se  si tratti del tipico odio "atavico" dei savonesi verso Genova, o forse più semplicemente quella vena neoliberista che permea lo spirito di Vaccarezza (alla base di trent'anni anni di distruzione sistematica dello stato sociale), sta di fatto che quando apre bocca sul palco di Albenga qualcosa non quadra: "I tagli vengono sempre dirottati da Genova a Savona, e non è giusto".

Da quando la difesa del diritto alla salute e alle cure nelle migliori condizioni si è trasformata nella "palla avvelenata" deove la palla sono i tagli e i cittadini se la passano sperando di non esserne colpiti? Da quando si trova più interessante puntare il dito verso i cugini genovesi, invece di infuriarsi a dovere  contro gli stipendi d'oro, mentre è in corso la progressiva erosione del sistema sanitario a livello nazionale, con migliaia di posti letto in meno, personale ridotto all'osso e il risparmio compulsivo pure sulle siringhe?

L'unica ragione che può venire in mente è che, nella realtà, certi personaggi non abbiano la benchè minima intenzione di difendere il diritto alla salute in quanto tale, quanto più il prestigio del proprio fazzoletto di terra, allontanando così i cittadini dalla strada della lotta.

Levante contro ponente, parrebbe essere la proposta di lotta. Un concetto rimarcato dalla presidentessa del Distretto sociosanitario Rosy Guarnieri, che prima rincara la dose in difesa della guerra tra cugini iniziata da Vaccarezza, sostenendo  "Da questa sera, ogni cittadino pretenderà di essere considerato alla pari dei cittadini del Levante ligure", e poi facendo leva sul concetto di possesso dell'ospedale: "Nostro perché costruito attraverso la generosità dei nostri avi, coloro che hanno ceduto i propri beni al Santa Maria di Misericordia".

Già: i nostri avi. Quando i ricchi davano qualcosa ai poveri (una scuola, o un ospedale) per tenerli buoni, con un senso che si avvicina molto di più al concetto di carità che a quello di diritto.

Un po' come cerca di fare oggi Tirreno Power.

Matteo Loschi

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