Mentre in questi giorni ci stanno facendo credere che la "rigidità" del mercato del lavoro sia la causa scatenante della mancanza di investimenti nelle imprese, stiamo subendo un altro durissimo colpo alla democrazia del nostro paese. Nel silenzio più totale, a breve (probabilmente giovedì) in Senato approveranno la modifica definitiva dell'art. 81 per inserire il pareggio di bilancio in Costituzione.
Questo significa che uno Stato non potrà investire in ricerca, sviluppo, innovazione, scuola, manutenzione del territorio, ecc, se i propri conti non risulteranno in pareggio. In altre parole, si nega allo Stato di investire nella creazione di posti di lavoro e sul futuro, in particolare in periodi, come quello attuale, in cui la crisi attanaglia la vita dei cittadini e la disoccupazione cresce di giorno in giorno. Anziché investire nella ricerca di nuovi modelli – dalla riconversione ecologica al reddito minimo garantito – si dovrà tagliare la spesa pubblica per accontentare i mercati. Un principio folle anche da un punto di vista economico.
La richiesta di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione è figlia della manipolazione ideologica di un modello (fallito come dimostra la crisi strutturale) che usa come dogma l'austerità per giustificare tagli consistenti alla spesa sociale, più tasse e più privatizzazione.
Per esercitare questa linea, capitanata dalla cancelleria tedesca Angela Merkel, i fautori di un modello economico che ha portato l’Europa alla deriva chiedono di ridurre gli strumenti della politica e di indebolire l'intervento dello Stato nella "cosa pubblica". I fatti dimostrano però che i governi europei che hanno adottato questa linea non hanno visto il loro debito diminuire, ma aumentare vertiginosamente. Ne sono un esempio il Portogallo e la Grecia stessa.
Il rischio che noi temiamo è che il pareggio di bilancio non porti sviluppo, ma tagli al sociale e ancora più indebitamento in un'Europa che, al contrario di paesi come gli Stati Uniti, non ha una banca centrale pronta a dare un sostegno all'economia in crisi.
Crediamo fortemente che ogni democrazia liberale abbia bisogno di arricchire e gestire virtuosamente la spesa pubblica e non diminuirla, abbia bisogno di combattere la corruzione, di investire sull'innovazione e la ricerca, tenendo conto che lo sviluppo non può essere infinito ma che necessariamente debba essere sostenibile e attento alla manutenzione dei territori, in un'Europa federalista che riformi lo statuto della BCE.
La modifica dell'art. 81 ci costringerebbe ad inseguire direttive di radice macro-economica votate solo ad accontentare la finanza che specula con i conti e le vite dei cittadini, facendo pagare la crisi a chi la subisce senza prevedere una via di uscita alla recessione che stiamo attraversando.
Se al momento del voto più dei due terzi dei senatori darà parere positivo, verrà negata anche la possibilità di sottoporre a referendum popolare la questione. Per questo facciamo un vero e proprio appello per la democrazia a tutti i parlamentari, affinché non si approvi questa sciagurata manovra e ci sia data la possibilità di esprimere il nostro parere tramite un referendum.Siamo noi che dovremmo decidere del nostro futuro. Non una maggioranza che non ha più nessuna legittimità popolare. Mai come oggi siamo distanti da una politica incapace di recuperare la supremazia sul sistema finanziario che governa questo mondo.
Per questo vogliamo reagire e chiediamo alla politica di riappropriarsi del suo primato. Contro il muro del silenzio, per il nostro futuro e per la democrazia chiediamo di non votare la modifica dell’articolo 81 e di consentire ai cittadini di esprimersi tramite un referendum.
Tilt