Politica - 23 febbraio 2012, 08:51

I giovani del PD scrivono a Monti, e un minimo di cambiamento si vede

Che si stiano piano piano accorgendo di come la flessibilità del lavoro sia stata la "papera" più grande? ... ma le contraddizioni non mancano

Andre Toso, giovane PD di Albisola, tra i firmatari

Arriva in redazione copia della lettera con la quale i giovani del PD comunicano il loro schifo per il dibattito in merito alla riforma del lavoro.

Quale dibattito non si capisce, poichè fino ad'ora è stato unilaterale tra governo, confindustria, confederali e PD...

Ma un minimo di cambiamento lo si vede.

Non certo nella dialettica, ancorata alle logiche contrattatorie ed ancora lontana dalla presa di coscenza circa la necessità oramai naturale di un conflitto di classe, che ci si aspetta da una generazione di disperati senza futuro.

Forse su un velato e mai ammesso ufficialmente "mea culpa" circa le riforme del lavoro a partire dal pacchetto Treu, (governo Prodi), con la quale, dopo la privazione della scala mobile e della contingenza, ha di fatto contrubuito notevolmente a condannare questa generazione alla fame e il nostro paese all'inevitabile crollo economico.

La flessibilità non serve, scrivono, ma servono rapporti lavorativi duraturi... ed è assolutamente vero, se non fosse che i "grandi" del loro stesso partito la pensano esattamente all'opposto.

O almeno questa è l'impressione che danno, altrimenti non si adopererebbero così tanto a "non opporsi" (per essere gentili) alla chiusura delle aziende come OCV e FAC, scalpitando invece per opere inutili e dannose come Maersk e Tirreno Power, mentre a livello nazionale difendono i privilegi della casta, il finanziamento pubblico ai partiti, il sistema elettorale maggioritario, quattro guerre, l'ampliamento degli armamenti (F35), i centri di detenzione per migranti... etc etc etc etc...

Ma si sa, i cambiamenti nelle coscenze necessitano tempo... per ora ecco la lettera...

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Caro sig. Presidente del Consiglio, cara sig.ra Ministro,

dopo mesi, se non anni, di discussioni sembra che stiamo per arrivare al traguardo della riforma del mercato del lavoro. Stupiti e rammaricati dalla qualità del dibattito, schiacciato tra simboli e dialettiche immotivate, desideriamo rendervi partecipi delle nostre idee.

Sul tema del precariato il re è nudo: l’utilizzo eccessivo del lavoro precario in Italia non è tanto dettato da ragioni di flessibilità (esistono i contratti a tempo determinato, dopo tutto, fino a due anni) ma dalla volontà di non garantire i diritti di base, primi fra tutti la maternità e la malattia, e di pagare il giusto salario. Qualsiasi riforma del lavoro che garantisca diritti e salario minimo sarà migliore di quella attuale.

Tuttavia i diritti non sono una risorsa finita, non c’è bisogno di ridistribuirli tra chi ne ha di più e chi ne ha di meno: rimuovere diritti ad una classe di lavoratori è una scelta, legittima, ma che va argomentata e giustificata di per se e non nascosta dietro al bisogno di aumentarli ad un’altra. Inoltre ogni sistema di incremento graduale di diritti deve prevedere un sistema per evitare che licenziando e riassumendo il lavoratore il conto riparta da zero, come avviene oggi con i contratti a tempo determinato.

Per competere col resto del mondo abbiamo bisogno di un aumento di produttività che non può basarsi solo sulla flessibilità ma soprattutto sul suo opposto: rapporti di lunga durata attraverso i quali il lavoratore raggiunge l’esperienza ed il know-how necessario. Anche di questo va tenuto conto.

Non serve dire che in questo momento semplicemente mancano i posti di lavoro: qualsiasi intervento di flessibilità senza un sostegno alla crescita, sotto forma della security che si accompagna alla flex oltre che di tutte quelle riforme, partendo dalla giustizia, che sicuramente ci costano più PIL di qualsiasi articolo dello statuto dei lavoratori.

Questo dibattito ha fatto semplicemente schifo. Abbiamo sentito chiamare i diritti dei lavoratori presenti in tutta Europa “egoismo dei protetti, ingordigia dei privilegiati” e la loro difesa “malattie che rischiano di ammorbare il nostro avvenire”. I sindacati sono stati chiamati “schema ottocentesco di sigle”. Che non sono immuni da colpe: prima ancora che ci fosse un testo hanno caricato per la gioia dei giornali che inventano indiscrezioni per riempire di polemiche qualche pagina.

Vi preghiamo di fare con calma ma di fare bene: deve durare altri trent’anni. Di non badare chi ha la bava alla bocca e vuole lo scontro con i sindacati a tutti i costi. Di fare la legge migliore con il maggiore accordo possibile. Di spiegare bene cosa volete fare e perché, vogliamo capire le vostre scelte.

E buon lavoro.

Federico D’Ambrosio, Jesolo (Ve)
Stefano Poggi, Vicenza
Stefano Funderlizzi, Roma
Andrea Ragazzi, Torino
Massimo Sestili, Roma
Andrea Toso, Albisola Superiore (Sv)
Ludovico Signori, Verona
Marco Giovanni Borin, Vicenza
Niccolò Camponi, Roma
Anna Seghi, Marano di Valpolicella (Vr)
Elena Caruso, Catania
Giuseppe Stamegna, Gaeta
Alessandro Barbero, Cairo Montenotte (Sv)
Filippo Galeazzi, Bologna
Virginia Listanti, Orte (Vt)
Enrico Giovannini, Torino
Stefano Pelloni, Milano
Paolo Costa, Strasburgo (Fra)
Massimo Bettin, Padova
Elisabetta Raffaelli, Ascoli Piceno
Irene Menghini, Senigallia (An)
Francesco Magni, Roma
Giulia Galeazzi, Pesaro
Andrea Patamia , Gioia Tauro (Rc)
Stefano Martini, Andora (Sv)
Bruno Marinelli , Roma

ml