È il momento della responsabilità e del coraggio. Le professioni hanno, senza dubbio, il dovere di dare risposte alle necessità di cambiamento del Paese.
Ma è anche il momento della verità. Non per rivendicare sterili diversità o per arroccarsi a difesa di quel che esiste e che lascia insoddisfatti, per primi, proprio noi. Per questo l'Ordine dei giornalisti offrirà, oggi, al ministro della Giustizia punti fermi di una proposta di riforma, che sarà perfezionata mercoledì dal Consiglio nazionale.
La verità impone di affermare che l'informazione non è merce come altre, anche se qualcuno la tratta così: è un diritto primario dei cittadini, sancito dalla Costituzione ed esplicitamente richiamato assieme a quelli alla salute e alla difesa.
I giornalisti non hanno privilegi da conservare. Quanti, per uscire dal vago, sono a conoscenza che alcune migliaia di loro non riescono a mettere insieme più di 5.000 euro l'anno e che la soglia dei 10.000 euro viene vissuta come una conquista da un gruppo altrettanto numeroso? Quanti sono consapevoli che si può rischiare la vita, minacciati da una delle molte organizzazione criminali, mossi solo dalla voglia di servire i cittadini? E' accaduto pochi giorni fa, ultimo di un insopportabile elenco, a Giovanni Tizian, a Modena. Vive sotto scorta per una retribuzione oraria pari al 20% di quella di una colf. Non è un errore: il 20%!
II presidente del Consiglio, Mario Monti, lo sa Così molti ministri. C'è, nel nostro mestiere, un'area nella quale sono rinchiusi migliaia di sognatori—professionisti e pubblicisti — che vengono trattati come i raccoglitori di pomodori 0 di olive. Un «caporale» che li arruola, troppi altri che guardano dall'altra parte mentre vengono sfrattati. Certo, li trattano con dolcezza: li chiamano precari. Una vergogna che si aggiunge alle altre vergogne.
Il dolore che tutto questo provoca dà coraggio. Così nascono le linee di una riforma indifferibile. L'Ordine dei giornalisti, sia pure con consigli di disciplina autonomi, dovrà far rispettare la deontologia e dovrà creare condizioni per una formazione permanente. A tutela dei cittadini dovrà esserci un garante del lettore (il Corriere è stato, credo, il primo ad istituirlo) e c'è, evidente, la necessità che chi si occupa di materia tanto delicata non completi i suoi studi con l'esame di Stato, esame che dovrà affrontare chiunque vorrà dirsi giornalista, sia che voglia esserlo in maniera esclusiva, da professionista, sia che scelga, da pubblicista, di affiancare altra professione.
Noi vogliamo regole che innanzitutto tutelino i diritti dei cittadini. Chiarendo, subito, che tra i giornalisti non c'è il numero chiuso e che per diventare professionisti è necessario un tirocinio proprio di 18 mesi che può essere fatto anche attraverso Master riconosciuti e attività svolta nelle redazioni.
La riforma che vogliamo prevede un Albo unico, con i due elenchi (professionisti e pubblicisti) che si formeranno con una opzione da esercitare dopo l'esame di Stato. E prevede anche una scelta di grande valore morale, che non consiste tanto nella doverosa tutela di quanti oggi sono iscritti nell'elenco dei pubblicisti, ma punta ad offrire alle migliaia tra di loro, che in questi anni hanno subito mortificazioni non solo economiche, la possibilità di accedere all'esame di Stato.
Ci vuole coraggio, per fare scelte come queste in un momento di difficoltà del settore. Noi lo abbiamo avuto. Occorrerà vedere se il governo Monti saprà averlo o non si rifugerà nella strada più comoda del ragionar per mucchi.