Eventi - 18 novembre 2011, 11:10

Borgio Verezzi: “Parti Oscure” con la Compagnia Salamander. Spettacolo di beneficenza per Genova e il Levante

Farà tappa lunedì 21 novembre al Teatro Gassman di Borgio Verezzi l’iniziativa benefica “Il cuore in scena”, promossa dalla Regione Liguria per raccogliere fondi da destinare alle comunità alluvionate di Genova e del Levante Ligure

L’amministrazione comunale di Borgio Verezzi ha accolto volentieri la proposta dell’assessore Angelo Berlangieri e lunedì, con inizio alle ore 21, ospiterà al Teatro Gassman lo spettacolo “Parti oscure. In margine ai promessi sposi”, scritto e diretto da Marco Ghelardi ed interpretato da Ernesta Argira e Mariella Speranza della Compagnia Salamander di Savona.

La protagonista è Marta, un’ attrice disperatamente alla ricerca del ruolo che le cambierà la vita. Un giorno riceve una telefonata da un regista che le promette una parte. Marta inizia a sperare e tra varie e comiche peripezie racconta al pubblico le sue illusioni, fino a quando la realtà si fonde con la finzione imprigionandola in uno spettacolo da cui non potrà più fuggire. E’ a questo punto che arriva “l’altra” Marta, il personaggio manzoniano, la serva dell’innominato, l’unica tra i personaggi del castello ad avere un nome proprio. Marta l’attrice e Marta il personaggio si incrociano sul palcoscenico e una lascia il posto all’altra in un susseguirsi di comiche vicissitudini e drammatica consapevolezza del proprio stato di personaggi secondari.

“Se avete letto, anche solo un po’ di fretta, uno dei capitoli centrali dei Promessi Sposi, Marta ve la siete persa senz’altro: è citata solo tre volte, e poi scompare. – dice Marco Ghelardi - Ma, e qui sta il cuore del nostro piccolo enigma, Marta è l’unica che ha un nome proprio in un luogo dove non ce l’ha nessuno: nel castello dell’innominato ci sono infatti solo soprannomi (Tanabuso, Nibbio), o nomi comuni (il ragazzo, la vecchia). Poi naturalmente c’è l’innominato stesso, che è il simbolo narrativo e linguistico della raffinata omertà manzoniana. Solo per Marta l’autore fa un’eccezione. E solo nei “Promessi Sposi”: nel “Fermo e Lucia”, il romanzo precedente, che Manzoni trasformò nella sua opera maggiore, Marta non ha un nome.

Lo spettacolo nasce dalla domanda: “Ma perché Marta, solo Marta, ha un nome?” e dall’occasione di creare un giocoso omaggio ai “Promessi Sposi”, una delle grandi opere della letteratura, non solo italiana. Capisco che Manzoni possa essere antipatico: sa di monumento, di sala di biblioteca, di scuola superiore: Manzoni condannato a quell’oltretomba letterario, che forse è paradiso ma forse no, fra il libro Cuore e il Pio Bove. Questo, a chi adolescente ha subito Manzoni come una inesplicabile condanna al tedio e l’ha riscoperto da adulto, quale scrittore adulto per adulti - cioè a me - questo spiace, perché non c’è scrittore che sia più urgente da leggere per qualunque italiano dal 1840 a oggi. Per quello che dice, sul potere e sull’individuo, ma soprattutto su come lo dice. Nei vent’anni durante i quali trasforma “Fermo e Lucia” nei “Promessi Sposi”, Manzoni incessante lima e smorza la lingua e il racconto, ben oltre la semplice fiorentinizzazione. Evita trucchetti ed effettacci, ricerca spasmodico concretezza e precisione. Gli piacciono le cose semplici, e le parole usate, e gli piace adoperarle bene, soprattutto combinarle in modo nuovo e sorprendente. Far questo è difficile, difficilissimo: scimmiottare l’ampollagine è facile (e, in ultimo, mistificatorio). E in una letteratura stomachevole e rigurgitante come quella che ci troviamo addosso non appena nati, non so trovar lezione più preziosa di chi ha trascorso vent’anni a far questo: se proprio non riesce ad allargare le stanze anguste della nostra storia letteraria, almeno apre una finestra, uno spiraglio che ti fa vedere oltre, e ti indica la via. Bene, luci, musica, pubblico, scene, tutto è pronto, e anche Marta, dietro le quinte, lo è. C’è solo un problema. E’ un personaggio secondario, ma nessuno glielo ha detto”.

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