Eventi - 14 novembre 2011, 11:40

Albenga: per la rassegna "I venerdì della biblioteca"

La presentazione del volume si terrà venerdì 18 novembre alle ore 17 presso la biblioteca civica "Simonetta Comanedi". Introduzione a cura del prof. Gianni Ballabio e lettura di brani scelti a cura dell'attrice Carla Migliardi

Raffaella Verga: “Etichette nere per il bene e il male”

Gennaio’40: Alice e Samuele sono due giovani innamorati ‘urlo dell’al tra. Sembrerebbe una normale storia d’amore tra due persone: lei è la figlia di sua eccellenza il dottor Baudano, mentre lui è un semplice pro fessore.., eppure c’è qualcosa che rende la loro relazione quasi impossibile: Samuele è ebreo, e durante il periodo storico questo particolare risulta un problema quasi insormontabile. E quindi cosa fare? Rischiare di mettere in pericolo la donna amata, oppure rinunciare del tutto alla propria felicità per cercare di salvare Alice da un triste destino? “Se la ami, almeno salva lei…” è questo il pensiero che assilla Samuele, chiuso nella sua stanza circondato dall’acre odore di fumo e dai fogli riempiti dalle sue mille riflessioni.

Espresso diritto d’ognuno quello d’avere diritti. E per ognuno, sacrosanto, quello d’appartenere all’umanità. Diritto che nella sua stessa ovvietà risulta rivoluzionario, anarchico, quasi; sorta di grande utopia im(possibile) germinata nel magma arroventato d’una storia che è quella del Novecento. Utopia che ostinata s’appella al senso di un’umanità percepita quale fatto inevitabile, quella stessa che vede l’uomo fratello all’uomo e non lupo, celebrando la diversità come una ricchezza; straordinaria opportunità d’incontrare e d’esperire quanto, altro da noi, respira e si muove sotto questo cielo.

Questo il messaggio celato tra le carte dell’ultimo romanzo di Raffaella Verga, “Etichette nere per il bene e il male”. Nelle vicende in esso narrate, come nel dolore dei protagonisti, l’estrema rivendicazione, per ogni individuo, di un diritto sacrosanto, quello alla relazione umana; diritto che si manifesta nella libera professione d’una fede, nella serena espressione di un sentimento come di un’opinione; in quell’agire politico che è predicato d’una società che voglia e possa ancora dirsi civile.

Storia, quella narrata, che nella sua dimensione tragica, a trascendere la sorte dei singoli, impone a chiunque l’onere del ricordo, poi che sempre si finisce col dimenticare gli eventi, persino quelli tragici e aberranti come l’emanazione delle leggi razziali e la persecuzione degli ebrei, in nome d’una supposta, quanto folle e criminale idea di superiorità della razza. E l’oblìo, come la dimenticanza, sempre lasciano spazio ad un possibile ritorno dell’errore, dell’abominio che invece non può, non deve essere dimenticato.

Abominio, rispetto al quale, per dirsi mondi, in quanto uomini, s’impone il perdono, avendo cura di conservare il ricordo acchè quel male assoluto non torni ad ammorbare le menti, come le coscienze.

Pure, spontaneo domandarsi se mai perdonare voglia dire dimenticare ciò che è stato; se perdono, in quanto atto morale e spirituale, sotteso al dover essere, possa comportare quella dimenticanza, vasta palude in che il ricordo si perde, confondendo tra loro i volti di vittime e carnefici, nel vapore d’una nebbia che tutto rende indistinto e vago.

Perché, davvero, nell’oblìo non vi è coscienza della colpa. Mai. Questa la riflessione che il romanzo impone. Così che per esercitare il perdono rispetto a tanta barbarie, occorre mantenerne viva la memoria, ognuno assumendosi parte di quella colpa assoluta, nessuno escluso. Poiché solo dove è ricordo di ciò che fu commesso può esservi perdono. Diversamente, senza memoria non vi saranno etica, né pensiero, né umanità, né idea di popolo cui far ricorso per sentirsi ancora parte dell’universo e non semplice scoria combusta priva d’una qualche identità, senza più nome né volto.

E davvero amore è la cifra più tersa del nostro essere uomini sotto questo cielo; creature fallaci, noi, capaci d’esprimere il bene più profondo come di perpetrare il male più assoluto. Amore che sovente è per se stesso; amore che da solo non basta a redimerci dal nostro destino di dolore.

E per ognuno, davvero, è un carico d’amore e sofferenza da esperire. Amore da prendere e dare, come quello che sovente neghiamo. Dolore che l’altro c’infligge e di che noi stessi feriamo.

Pure, a fronte della sofferenza che l’uomo seppe infliggere al fratello, resta ancora il perdono, soglia luminosa che introduce all’assoluto. Respiro vasto in che si muove amore nella forma sua più compiuta della compassione. Esercizio spirituale che non consiste nell’amare l’altro perché amabile o benché colpevole. Ma che pertiene a quella dimensione atletica dell’anima che d’amore esperisce l’esercizio più arduo.

Raffaella Verga, ligure di nascita, dopo la laurea in Lettere, indirizzo psìco-pedagogico, si è trasferita a Milano dove, con un percorso pianificato di specializzazioni, è diventata consulente e formatrice in ambito organizzativo, gestione dei conflitti e team coaching. È coach certificato dal 2007. Scrive poesie da quando è bambina ed alcune fanno parte di antologie di premi letterari italiani. La sua tesi di laurea ha vinto il premio F.I.L.D.S. ed è stata pubblicata. Nel 1998 la Firenze Libri ha pubblicato Storia di t donna. Nel dicembre 2008 per i tipi del Gruppo Albatros Il Filo è uscito il romanzo “Con gli Occhi degli altri”, che ha partecipato alla Fiera Mondiale del Libro di Pechino e a quella di Guadalajara e ha vinto il premio “segnalazione” al concorso letterario di Viareggio Carnevale. Per la Franco Angeli nel settembre2010 è uscito il manuale “ll conciliatore professionale - attitudini, competenze e tecniche operative”.

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