Il premio Nobel per la letteratura Thomas Stearns Eliot nella sua opera: ”Tradizione e talento individuale” sosteneva, a ragione, che “la tradizione non si può ereditare e chi la vuole deve conquistarla con gran fatica”.
Lo scrivo mentre ho sotto gli occhi i provvedimenti legislativi che stanno per limitare l’azione dei comuni, soprattutto di quelli più piccoli, col rischio che, entro pochi anni, siano destinati ad accorparsi e poi a sparire…anche dalla memoria.
L’Italia è composta di piccoli comuni, non si tratta solo di pochi borghi, di qualche campanile, di piccoli scorci, ma di un patrimonio di cultura, di tradizioni, di gastronomia, di dialetti, d’usanze che contraddistinguono località anche minime, distanti l’una dall’altra pochi chilometri.
Queste località hanno fatto la storia d’Italia, ma soprattutto l’hanno caratterizzata agli occhi del mondo.
Un Paese dove le differenze uniscono: gli stessi sapori, vero fulcro attorno al quale ruotano mille e mille sagre di paese, sembrano quasi marcare il territorio, elevarlo ad eccellenza, a sottolineare quanto genuina sia l’aria che si respira o quanto viene proposto nel piatto o nel bicchiere.
Questi mille borghi dalle proporzioni minime sono altrettante locomotive che potrebbero trainare un turismo nuovo e diverso, fatto di rispetto per l’ambiente, di ricerca della novità, d’apprezzamento per il “bel vivere”.
Invece rischiano la rottamazione, superati dalla volontà di accorpare senza porsi il problema di cosa potrebbe avvenire dopo.
Il turismo di massa, certo, non è attirato da queste località, ma il turismo dei grandi numeri è in forte sofferenza, mentre resiste l’altro, quello più limitato (nelle spese, nei costi, nelle esigenze), un turismo che “bussa alla porta e non la sfonda”, che sa ancora chiedere permesso e rispetta le individualità.
Quante volte mi è capitato di giungere in piccole località e di trovarmi, nel bar della piazza, a parlare con uno sconosciuto e sentirmi illustrare, con dovizia di particolari e di aneddoti, storia, vita, passato della sua località!
E poi le pro loco, vera grande fucina d’idee e bagaglio di tradizioni!
Non vorrei che anche per loro stesse per suonare l’ultimo rintocco della campana: costituiscono una ricchezza immensa, fatta di volontariato, d’impegno gratuito, d’entusiasmo, di passione.
Accorpare i comuni potrebbe chiudere queste pagine e consegnarci un’Italia “forse” (ma ne dubito) amministrativamente più efficiente, sicuramente meno appetibile sotto il profilo turistico.
Piccoli borghi abbarbicati sulle colline o incastonati fra i mondi, decine di sindaci che gratuitamente li difendono e lottano per abbellirli: sono convinto che il turismo post crisi debba partire da lì… a patto che esistano ancora.
Per questo, consentitemi, questo inno al piccolo comune, al suo dialetto, al piatto che lo contraddistingue, alla sua storia di paese, a quel prete che si accalora tramandandone le tradizioni: non voglio che chiudano!
Penso vi siano sistemi per preservarli senza danneggiare l’economia: cerchiamo con ogni strumento di aiutarli a sopravvivere.
Costituiscono il nostro investimento per il futuro: il turismo responsabile, quello che praticano quanto viaggiano in camper come quanti rifuggono la massificazione, parte proprio da lì, da quel tintinnio di campana che richiama alla chiesetta in centro al borgo, o dalla danza popolare o dal racconto tramandato oralmente di padre in figlio.
Crederci vuol dire scommettere sul nostro futuro, su quell’Italia di ottomila e passa comuni che merita di uscire dalla crisi e di ritornare ad essere grande e rispettata e della quale il turismo non può che costituire uno degli elementi economici ed occupazionali più rilevanti.