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Attualità | 21 ottobre 2011, 18:08

Libia, morto Gheddafi. Fine di una dittatura

O inizio di un periodo di caos e confusione civile?

Libia, morto Gheddafi. Fine di una dittatura

La Libia è differente dagli altri paesi che in questi ultimi tempi stanno subendo la eco delle rivolte che imperversano praticamente in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa.

E' diversa perchè è stata colonia italiana, perchè numerosi dei nostri conterranei hanno avuto i natali lì, vi hanno lavorato e costruito famiglie e aziende.

E' diversa perchè l'ormai fu leader Muhammar Gheddafi, ucciso ieri si dice per mano di un ragazzo di vent'anni che, dopo il suo ritrovamento, ha voluto porre termine alla vita di uno fra i più grandi (ed esaltati) dittatori degli ultimi tempi, era un grande amico dell'Italia e del nostro Premier Silvio Berlusconi che, nonostante assieme ad America e Occidente in generale si schieri spesso, volentieri e rumorosamente contro terrorismi, dittature e mancanza di democrazia nei paesi extraeuropei era talmente legato a quest'uomo da arrivare perfino ad organizzare eventi curiosi e particolari in suo onore ogniqualvolta si trovasse in Italia per affari.

Tende beduine piantate in parchi del nostro Bel paese, sfilate di cavalli arabi, meeting ufficiali con leader di prim'ordine accovacciati su tappeti davanti a the verde e narghilè. Legato a tal punto da arrivare a fare il baciamano a questo “grande amico dell'Italia”.

Amico davanti al quale molti dei politici nostrani negli ultimi tempi avevano ormai voltato le spalle, nonostante altri invece, della medesima alleanza, abbiano preferito continuare a tesserne le lodi (?) dichiarando “Onore, quindi, al templare di Allah” (??) come ha fatto l'Onorevole leghista Borghezio dopo averlo saputo deceduto.

In ogni caso, ognuno ha le proprie opinioni così come le proprie scarpe. Sincere o di facciata che siano.

E' di certo la fine di un'epoca però, durata più di quarant'anni, durante la quale un leader duro, sanguinario, che si era autoinnalzato sopra un piedistallo dorato incitando il suo popolo ad adorarlo quasi come un dio ha dimostrato di non esserlo affatto, divino. Ma anzi, di aver paura di morire come qualunque altro essere umano, sia esso dittatore o suddito. Quando lo hanno trovato e ferito, lo si è sentito gridare “Non sparate, non sparate!”. E invece le forze speciali della Nato lo hanno fatto. E lo hanno ucciso.

No, non è comunque giusto che si gioisca davanti alla morte di un essere umano, per crudele e ingiusto possa essere stato, però il fatto che ci siano molti in Libia a farlo di certo segnala la grande sofferenza patita da quel popolo a causa sua. Un popolo che dovrà essere il prossimo a fiorire nella “Primavera araba”.

Gli italiani hanno una propria idea riguardo a quello che è avvenuto. Molti dicono che è meglio così, altri che dispiace loro il fatto che il “rais” sia stato ucciso. Ma dallo spaccato di mondo arabo che vive nel savonese emergono numerosi e diversi punti di vista.

Quello di Moncef, 48 anni, per esempio, tunisino, che guarda dall'Italia su Al Jazeera quello che sta avvenendo in Libia seguendo al contempo gli sviluppi del suo paese che, a sua volta, ha da poco eliminato una dittatura forse meno feroce ma di certo non meno disprezzata.

“Gheddafi era un dittatore, è un bene che adesso il paese se ne sia liberato, di sicuro la Libia migliorerà in futuro, però sarà difficile conciliare le idee delle varie tribù. La Libia infatti non è come la Tunisia, ci sono numerosi clan presenti sul territorio, che spesso non riescono a mettersi d'accordo tra loro. Sarà faticoso costruire un nuovo governo che vada bene per tutti”.

Saadia invece, 32 anni, marocchina, che non ha dovuto per fortuna subire il dispiacere di vedere il suo paese in guerra negli ultimi tempi la pensa diversamente.

“Gheddafi è morto perchè era arrivato il suo momento, è stata la volontà di Dio ad ucciderlo. Anche se ha commesso atti terribili spetta sempre a Lui il giudizio, non a noi. Comunque io non credo che la situazione in Libia muterà di molto, avverrà come in Tunisia e in Egitto, dove in fondo non è cambiato niente e continuano nonostante la caduta del potere ad esserci problemi come prima. Addirittura può succedere che salga al governo un altro che si comporti come lui”.

Abd Al Aziz invece, 48 anni, anche lui marocchino, si discosta dalla sua conterranea: “E' una cosa buona che Gheddafi non sia più al potere. Secondo me in breve tempo la Libia si unirà e finiranno disordini e guerre civili”.

Di altro avviso Farid, 44 anni, algerino, che ritiene, come Saadia, che la situazione “Non cambierà di molto. Non è questione di leadership, ma di mentalità. Non c'è nulla di positivo per il popolo libico nella morte di Gheddafi, perchè il paese per anni rimarrà in preda a disordine sociale e instabilità. Gheddafi poi secondo me non aveva la precisa intenzione di essere un feroce dittatore, era un politico di vecchio stampo, come Saddam Hussein, che non conosceva diversi modi di governare. Tutti i leader della sua epoca hanno purtroppo agito come lui”.

Opinioni discordanti, quasi mai positive, che fanno intravedere un desiderio comune di stabilità per quel martoriato popolo che, soprattutto negli ultimi mesi, ha dovuto subire una feroce repressione da parte di chi affermava di amarli e volerli difendere. Desiderio che però si teme venga, almeno ancora per un bel po' di anni, negato.

In fin dei conti è logico che si ragioni così. Purtroppo Iraq, Algeria prima e Tunisia ed Egitto adesso insegnano. Sono inciampati tutti sullo stesso, sconnesso, sentiero, e tutt'ora stanno cercando di rialzarsi faticosamente in piedi. E ci ricordano che, nonostante la voglia di giustizia e di libertà, è terribilmente difficile cambiare il modus vivendi di un paese che, nonostante lo abbia dovuto subire con conseguenze a dir poco negative, è purtroppo abituato a vivere in quel modo. Per decenni hanno convissuto con la dittatura, sarà adesso molto difficile ribaltare completamente il modo di far politica di intere generazione di uomini.

Ma la speranza e l'ottimismo comunque, come sempre, restano. Così come il desiderio di giustizia di questi forti, coraggiosi uomini e donne che altro non desiderano che avere, finalmente, un futuro migliore.

Lara Aisha Bisconzo

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