Attualità - 21 luglio 2011, 22:46

Piazza Alimonda ore 17.27 del 20 luglio 2001

Dieci anni dopo.... intervista a Giovanni Impastato

Dieci anni dopo, la piazza è baciata dal sole, una leggera brezza rende il caldo più sopportabile.

In tanti sono venuti a ricordare Carlo ed a chiedere, ancora una volta e con forza, la verità su quanto accadde a Genova in quei giorni, ed in particolare il 20 luglio alle 17 e 27.

Giuliano e Haidi gestiscono i numerosi interventi previsti con ordine e rigore, alle 17 e 27 la piazza è stracolma. Quando Don Gallo chiede a chi era presente dieci anni fa di alzare la mano, ci si rende conto che sono tantissimi coloro che hanno ancora vivo il ricordo di quelle immagini e di quei momenti. Ma anche le mani abbassate sono numerose, sono quelle dei tanti giovani che dieci anni fa erano ancora bambini.

Sono con Giovanni Impastato dietro il palco, lo aspetto dopo il suo applauditissimo intervento. “Peppino è vivo e lotta insieme a noi e a Carlo” gli urla un giovane studente prima di salutarlo ed abbracciarlo forte.

L'emozione è forte.

Ci sediamo all'ombra, Giovanni è stanco e accaldato, mi precisa sorridendo che è tutta colpa della maglietta scura che attira i raggi del sole.

Prendo il taccuino.

 D: Cosa si prova ad essere presenti oggi in questa piazza dieci anni dopo la morte di Carlo?

R: Non è facile essere qui e intervenire dal palco perché ognuno dei presenti è chiamato proprio qui, in questa piazza, alla propria responsabilità e alla voce della propria coscienza.  Quanto qui è accaduto dieci anni fa quando la vita di un ragazzo è stata strappata via dalla violenza di Stato ci ricorda quanto sia crudele e raccapricciante quanto abbiamo vissuto in quei giorni ed anche in questo decennio.

 

D: Eravavamo nel 2001, in occasione del G8…

R: Si, proprio quel 2001 è stato lo spartiacque, il momento in cui alcuni decisero di accelerare i tempi della storia. Il 2001 è stato anche l'anno dell'11 settembre e, quindi, della repressione e dispersione violenta dei movimenti a livello globale accostati. Certo per molti di noi questo è ormai scontato, ma è opportuno ricordare sempre questi concetti , soprattutto oggi che siamo nel 2011 a dieci anni di distanza da quei fatti, e dobbiamo saper essere coraggiosi e ribelli, ma anche maturi e consapevoli.

Dobbiamo sapere leggere i fatti, liberarci da preconcetti o stereotipi politici, che non porteranno lontano e lavorare per obiettivi condivisi cercando di essere coesi, al di là delle differenze e dei settarismi, proprio come quei cortei pacifici che qui a Genova furono così vergognosamente caricati dalle forze dell'ordine.

 

D: come vedi il futuro dei movimenti?  

R: Dobbiamo stare molto attenti ai prossimi passi per portare avanti un percorso di cambiamento, evitando leggerezze e facendo di tutto per saper comunicare, parlare e stabilire un dialogo soprattutto con le nuove generazioni.

Non dobbiamo nello stesso tempo compiangere i bei tempi andati, quando le piazze si riempivano di gente con di istanze politiche di alto valore e di spirito globale.

Dobbiamo scegliere se continuare solo a parlare di rivoluzione come fosse un ideale irrealizzabile e cadendo oggi nella trappola di quei poteri, che a livello internazionale sono capaci di manipolare le parole e le coscienze e da sollevazione popolare l'hanno trasformata in uno strumento per destabilizzare paesi esteri e sostituire i vecchi regimi con il caos dove le speculazioni regnano sovrane. O dobbiamo tentare di andare oltre.

 

D: cosa si deve fare per evitare i pericoli che hai individuato?

R: Cambiare linguaggio, cambiare atteggiamento, cominciare a costruire pian piano, mattone su mattone, cogliere dalla realtà quei fattori che possano farci da guida, ascoltare la gente, i giovani d'oggi che non sono più quelli degli anni addietro questo dobbiamo fare per essere concreti, senza aspettare, sognando, che tutto all'improvviso si ribalti.  Proprio questo stiamo tentando di realizzare a Cinisi, oggi che a 33 anni di distanza dalla morte di Peppino, grazie al nostro impegno, abbiamo ottenuto giustizia e nessuno può più permettersi di definirlo terrorista. Abbiamo strappato l'apertura di un'inchiesta sulle responsabilità degli uomini delle istituzioni che a suo tempo depistarono le indagini, macchiandosi di un reato gravissimo, perché se è crudele massacrare una persona lo è altrettanto uccidere la verità riguardo la sua morte.

Abbiamo anche ottenuto nel 2000 il rapporto della Commissione parlamentare d'inchiesta sul comportamento scorretto delle istituzioni e le scuse dello Stato e, riconoscendo l'importanza estrema di un simile provvedimento, ci indigna profondamente oggi che sui fatti di Genova e la conseguente morte di Carlo non si sia potuto avere nulla di simile, per la vergognosa resistenza dimostrata da tantissime componenti dell'arco costituzionale, anche quelle che si dichiarano a parole difensori dei principi della democrazia.

Ritornando a Cinisi negli ultimi tempi abbiamo deciso di eliminare le nostre barriere protettive, ci siamo messi in gioco, e, sicuri della nostra identità e dei nostri valori, abbiamo cominciato ad aprirci, a raccontarci, abbiamo cominciato uno scambio con i giovani del paese, anche con quelli che fino ad ora non ci sono stati vicini o ci hanno voltato le spalle ed abbiamo scoperto in loro nuove possibilità una volta superate le incomprensioni.

Stranamente il punto di passaggio ha a che fare con Tano Badalamenti, precisamente con la sua Casa, quella che è a cento passi dalla nostra, da Casa Memoria, ed oggi è stata assegnata a noi associazioni assieme al Comune di Cinisi e dove prenderà corpo questo nuovo piccolo laboratorio per contribuire alla costruzione di futuro diverso, sull'onda degli interventi innovativi e al di fuori di qualsiasi schema che Peppino portava avanti negli anni '60 e '70, partendo dalle esigenze e dalle voci del territorio e non dai dettami politici o partitici.

Certo sono piccoli passi e così, forse, potremmo fare ben poco, ma almeno qualcosa avremmo fatto ed è questa la promessa che mi sento di lasciare a Carlo a dieci anni dalla sua morte.