Ha il sapore del ritorno la presenza di Massimo Sannelli in biblioteca. Lasciato, nell’inverno, alle sue lecturae Dantis, torna in questo tempo di primavera con un’offerta di bellezza, opportunità tutta nuova, che si profila attraverso la sua voce. Ed è un ascolto del profondo, quello ch’egli ci offre, dedicato a straordinaria figura di uomo e pontefice: Karol Wojtyla, lo stesso che, in piazza San Pietro il primo di maggio, ha visto proclamata la propria beatificazione.
E accanto a un antico allievo del ginnasio ingauno, un professore, un amico della biblioteca, anch’egli amante della poesia, Gianni Ballabio, insegnante da una vita, della vita entusiasta, come dei suoi doni, quelli stessi che si fanno grazia ad ognuno, sia pure nel dolore e nella perdita. Perdita, in questo caso, che acquista a molti la speranza d’una protezione celeste, che si comunica, oltre lo spazio e il tempo, attraverso la parola poetica, a dire l’umanità profonda e quel sottile presentimento del divino nel quale si coltiva una contiguità con ciò che è bello e buono all’anima.
Poesia, dunque, quale ambito sacro nel quale celebrare la dimensione spirituale e religiosa che pertiene ad ognuno e che ognuno in sé, misteriosa, accoglie. Questi i moventi di un appuntamento tra gli scaffali della biblioteca, grevi di libri, ognuno denso di storie e pensieri, strumento ognuno di crescita ad altri. Così, venerdì 6 maggio alle ore 17, al secondo piano di Palazzo Oddo, si terrà il colloquio, amabile e pensoso, tra due uomini di fede, il pensiero e l’anima volti a straordinaria esistenza, consonante con l’armonia delle cose, con il mistero di che natura s’involge e ammalia ed innamora.
“Seno di bosco discende al ritmo di montuose fiumare…
Se vuoi trovare la sorgente, devi salire verso l’alto, controcorrente”
E davvero, al di là d’ogni formale riconoscimento, per sua stessa natura, Wojtyla è santo. Karol, padre d’ognuno e amico, pastore ed esempio luminoso di quell’accettazione gioiosa e quieta per ciò che dal Cielo ad ognuno giunge, inaspettato dono, insospettata pena. E davvero inesausto lo sforzo che l’uomo da sempre esprime, ad aprire per sé e per gli altri un varco, a guadagnare la luce.
Luce come di fiamma; fiamma che arde e illumina l’oscurità di questa vita prodiga e avara ad un tempo, siccome dolce e amara. Pure, costituisce straordinaria avventura, questo nostro esistere nel mondo, questo nostro perenne cercare, sovente annaspando nel buio, a tentoni, fra tante verità che fuggenti si celano allo sguardo. Ma “verità è ciò che infine viene a galla come l’olio sull’acqua.” Questo il Wojtyla drammaturgo c’insegna e dice “In questo modo la vita ce la svela… a poco a poco, in parte, ma continuamente.”
Ciò, perché verità respira al fondo di ognuno, poiché “essa è in noi, in ogni uomo. Ed è qui appunto che essa è vicina alla vita. La portiamo in noi, essa è più forte della nostra debolezza». Karol, uomo della luce, così prossimo a Dio da essere luce a noi che ancora attendiamo sorga l’aurora di un giorno rinnovato e terso; egli che, sorridendo, c’invita a non aver paura; creatura del sorriso, figlia del dolore, che, lieve esistendo in questa vita, apprese il mistero fondo d’una carità che si fa dono, luminosa tracciando il sentiero lungo il quale condurre i nostri passi, seppure stenti, talora, a riconoscere bellezza, cifra d’una divinità che non ha nome, ma dolce risuona nell’animo di chi ha sete e ancora spera.
Così piace ricordare l’uomo come il santo; il poeta come il filosofo; colui che condusse lungo tempo questo nostro gregge disperso e disperato, consumando se stesso nel mostrare all’uomo come l’uomo sia luogo primordiale del Verbo. Egli, tabernacolo vivente a ciò che Platone chiamò demone, quella vibrazione eterea con cui l’uomo nasce e che l’uomo accompagna, lungo tutta l’esistenza, invisibile scrigno d’un codice unico e irripetibile, quello dell’anima, che in Wojtyla fu vasta, d’una vastità incontenuta e fonda.
Grande dono di un Cielo a noi benevolo sempre, quand’anche nel dolore.