Sarà l’assessore Lorena Rambaudi a coordinare l’”emergenza profughi”: a lei il compito di tenere i contatti con Province e Comuni, oltre che con tutte le organizzazioni pubbliche e private in grado di apportare un contributo fattivo, come Croce Rossa e Caritas.
La Rambaudi ha già convocato – per lunedì – un gruppo di lavoro costituito dalla Regione e da vari responsabili dei dipartimenti sicurezza, sanità, sociale, immigrazione, protezione civile e altri.
L’assessore regionale attende che il Ministero invii una proposta con gli obiettivi numerici che dovrebbero essere coperti dalla Liguria, specificando che il suo obiettivo sarebbe quello di creare piccoli siti di accoglienza, più comodi da gestire rispetto ai CIE e preludio ad uno sforzo di integrazione che, se correttamente gestito, potrebbe rappresentare una risorsa per il territorio e non certo un’”emergenza”.
Anche il Presidente Burlando ha parlato di organizzazione di un piano costruttivo, pensando a corsi di lingua o di avviamenti al lavoro.
Il punto rimane sempre lo stesso, ovvero la disponibilità dei Comuni all’accoglienza: si sono già pronunciati positivamente alcuni Sindaci, tra cui quelli di Albisola Superiore e di Finale ligure (entrambi di centrodestra), che hanno evidentemente capito che non si tratta di accogliere “clandestini” o “irregolari”, ma rifugiati. Persone in fuga da situazioni di guerra, o in procinto di diventare tali. In questo caso non c’è la possibilità di scegliere: l’accoglienza è – fortunatamente, trattandosi di esseri umani - un obbligo di legge.
Purtroppo continuare ad utilizzare termini come “clandestini” non aiuta la tolleranza (pessimo termine, che però dobbiamo usare dopo aver constatato la resistenza di molti cittadini liguri all’idea dell’arrivo degli immigrati).
Ricordiamo, quindi, che in Italia la “clandestinità” è vista come una colpa solo perché esiste una legge (voluta solo da una parte politica, ma fortemente osteggiata e poi subita dall’altra) che la definisce tale: ma una società civile non dovrebbe permettersi di condannare a priori una persona, o di considerarla a priori come “delinquente”, solo perché a qualcuno è saltato il ghiribizzo di sostenere che non avere con sé i documenti di identità, o peggio ancora non avere (ancora, magari…) un permesso di soggiorno e/o un lavoro, siano reati.
I confronti etnici e le guerre tra poveri ottengono sempre validi riscontri politici (non va dimenticato l’immenso seguito che trovarono le leggi razziali nel ventennio: non c’è stato solo un Mussolini a promulgarle, ci sono stati anche milioni di italiani che le hanno trovate assolutamente lecite e valide): ma se riteniamo di essere persone civili, umane e magari anche cattoliche, o comunque se crediamo nei valori cristiani, non possiamo lasciarci trascinare in questi giochi guardando come “nemici” altri esseri umani che, fino a prova contraria, non hanno ancora fatto nulla di male e che hanno un disperato bisogno di aiuto.
Né dobbiamo, per carità, mescolare il concetto di accoglienza con quello di “buonismo a tutti i costi”, santificando automaticamente chiunque arrivi sulle nostre coste.
Tra gli immigrati, come in qualsiasi agglomerato di esseri umani, ci saranno i santi e ci potranno essere i meno santi. Ci saranno persone per bene e magari anche qualche delinquente: discorso che però vale anche per tutti i savonesi, i liguri e così via, allargando fino al mondo intero.
Sarà compito delle istituzioni, delle Forze dell’Ordine, di chiunque si occupi di far rispettare le regole e le leggi, discernere tra “buoni” e “cattivi”: ma non è compito nostro. Come cittadini noi abbiamo il dovere legale di accogliere e il dovere morale di NON giudicare a priori. Anche perché - e non dimentichiamolo mai – etichettare una persona è il primo passo per ottenere l’effetto “pensi che io sia fatto così? E allora mi comporterò di conseguenza”.
E’ capitato, probabilmente, ad ognuno di noi. E non pensiamo che gli immigrati possano reagire in modo diverso, perché sono persone come noi. Ora sono troppo disperati e troppo bisognosi per pensare ad altro che a salvare se stessi e le proprie famiglie: ma quello che diventeranno domani, quando cominceranno a doversi in qualche modo inserire nel nostro tessuto sociale, dipenderà anche dal modo in cui ci comporteremo noi.
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