“E' giunta l'ora della solidarieta'”, dichiara Arci Liguria nel suo comunicato di stamattina, condividendo la soddisfazione dell’assessore Rambaudi per la disponibilità all’accoglienza dimostrata dal sindaco di Albisola Superiore Franco Orsi (PdL) e da una signora di La Spezia (appartenenza politica non pervenuta) che vorrebbe mettere a disposizione un alloggio per tre immigrati: e il Presidente Walter Massa conclude il suo intervento sostenendo che “Ogni tanto e' bello ri-trovarsi in un Paese civile”.
A sentire e leggere le opinioni dei cittadini liguri, però, le cose sembrano stare un po’ diversamente.
Solo sul Secolo XIX online ci sono, al momento, ben quattro pagine di commenti , non uno dei quali condivide l’entusiasmo per l’arrivo degli immigrati (definiti regolarmente “clandestini”, quando non addirittura “invasori”).
Qualcuno pone obiezioni sensate (“ma noi che dovremmo essere il POPOLO SOVRANO, non veniamo mai interpellati?”), molti altri sono pesantissimi e dipingono i profughi come avvinazzati, “portatori solo di problemi” e, dulcis in fundo, stupratori.
Terribile il commento di una lettrice che si firma “DolcissimaAlessia” (immaginiamo cosa avrebbe potuto dire se non fosse stata dolcissima…): “Mandateli a casa di Napolitano visto il danno che ha fatto dopo che Berlusconi aveva stipulato un accordo con Gheddafi per aiutarci ha risolvere questo problema”.
Ebbene sì: HA risolvere.
E’ abbastanza comune che l’ignoranza grammaticale vada di pari passo con l’intolleranza, perché è sempre sulle persone meno preparate culturalmente che fanno più presa i “facili” concetti della guerra tra poveri, magistralmente utilizzati da chi povero non è.
“State male? Non arrivate a fine mese? E’ tutta colpa di quei brutti musi neri che portano via il lavoro agli italiani”.
Un comodissimo scaricabarile che le menti semplici recepiscono senza porsi alcun dubbio.
In mezzo a cotanta profusione di solidarietà, sempre sul Secolo, fa quasi tenerezza vedere che un commento è stato cancellato dal moderatore con la seguente motivazione: “razzista”.
Ma perché, gli altri cosa sono?
Evidentemente il commento eliminato conteneva insulti ancora più violenti: ma tutti, tutti i commenti presenti al momento in cui leggiamo sono profondamente razzisti, o quantomeno intolleranti: se non nei termini usati, sicuramente nei concetti espressi.
Dove sta, allora, il Paese civile di cui si vanta Walter Massa?
Esiste, esiste.
Ne siamo certi.
Non bisogna perdere la speranza nella capacità di mostrare solidarietà e accoglienza che ha sempre contraddistinto gli italiani (a loro volta migranti per lunga tradizione).
E bisogna anche ricordare che, molto spesso, chi è d’accordo non scrive, non commenta, non mugugna.
Non ci si può nascondere, però, che un problema esista: problema legato soprattutto al malessere diffuso, alla crisi, alle difficoltà economiche che fanno vedere l’”altro”, il “diverso da sé”, come un potenziale pericolo, se non proprio come un nemico.
C’è ancora, inutile nasconderlo, un retaggio razzista in molti di noi: non è poi così lontano il tempo in cui era stabilito dalla legge che esistessero “razze superiori” e “razze inferiori”, ed è probabilmente ancora troppo presto per ritenere che questo disgustoso concetto sia del tutto svanito anche dalla testa della gente.
Non basta modificare una legge sulla carta per cancellare un tipo di mentalità reiterato per secoli: bisogna ricostruire da zero una cultura, una moralità (non un moralismo), un senso di appartenenza alla sola e unica razza umana.
Tutte cose che la politica nostrana, almeno negli ultimi anni, si è ben guardata dal fare.
Anzi, diverse forze politiche sono andate in senso decisamente opposto, fomentando l’intolleranza o quantomeno la diffidenza verso chi ha colore, religione, lingua diversa dalla nostra. Spesso dipingendo queste persone come nemici a prescindere, come potenziali criminali, come primitivi abbruttiti che sì, d’accordo, saranno anche esseri umani… ma non certo nostri pari. Questo proprio no.
Il risultato è che perfino ai più aperti e ai più civili di noi capita, a volte, di provare un brividino di timore, se non proprio di paura, incrociando per strada un gruppo di persone con la pelle scura. Perché il bombardamento mediatico, si sa, funziona sempre.
Accoglienza, dunque, ma con diffidenza: anche per chi non si sente razzista, per chi vorrebbe sentirsi fratello di tutti gli abitanti di questo mondo… ma poi pensa, magari, che “quelli lì” hanno abitudini diverse dalle nostre; hanno una storia diversa, una religione diversa, una concezione diversa delle donne e così via.
E il “diverso” fa sempre un po’ paura: soprattutto quando si presenta in quantità ingenti.
Ammettiamolo: se ci fossero un centinaio di profughi da sistemare in tutta Italia, nessuno farebbe una piega. Quando si parla di decine di migliaia, invece, il senso di repulsione, di respingimento prevale su quello di accoglienza. Si arriva a pensare "mannaggia, ma tu guarda se Gheddafi, poverino, doveva finire in questo pasticcio proprio adesso che ci stava aiutando a toglierci dalle scatole gli immigrati".
Un pensiero che, se si conoscesse davvero la personalità di Gheddafi e se si sapesse davvero la fine che hanno fatto gli immigrati "respinti in Libia", dovrebbe far raddrizzare i peli sulla testa a chiunque. Ma pochi sanno. La dolcissima Alessia (e tanti altri italiani) probabilmente non hanno mai sentito parlare dei massacri, delle torture, degli stupri a cui gli immigrati respinti sono andati incontro. Non è successo nel nostro orticello, non ne sappiamo nulla. Nè i media ci aiutano a sapere, perché i media sono al servizio di chi, quei respingimenti, li ha fortemente voluti.
Così si arriva alla follia di dare la colpa a loro: di chiamare “clandestini” o “invasori” dei poveri disperati che scappano da una guerra (e certo che sono clandestini: mai visto nessuno che, fuggendo da un Paese in cui si spara e si bombarda, pensi prima a passare all’ufficio anagrafe per farsi rilasciare i suoi bei documentini timbrati e bollati!) e che non hanno più niente.
Che si trovano nelle stesse identiche condizioni dei terremotati, a cui tutti apriamo le braccia e che ci precipitiamo a sostenere con donazioni e aiuti di qualsiasi genere.
Ma non è che ci sia tanta differenza tra un terremoto e una guerra: almeno, non per chi li subisce.
La differenza, semmai, sta a monte: perché il terremoto è un evento naturale imprevedibile e inevitabile, di cui nessuno ha colpa (sempre ammesso che non lo si voglia considerare una “punizione divina”, come ha fatto recentemente qualche persona non troppo sana di mente riferendosi a quello del Giappone), mentre la guerra è un evento innaturale ed evitabile, che ha sempre dei colpevoli.
Ma attenzione: quei colpevoli siamo anche noi.
Noi che ce ne infischiamo di quel succede a due metri dal nostro naso, noi che pensiamo solo al nostro orticello, noi che non ci battiamo quasi mai (con rare eccezioni) per i diritti civili calpestati, per la vita e per la dignità di persone che vediamo, al massimo, come “poveretti” da commiserare finché se ne stanno a casa loro... ma che diventano “nemici” quando da casa loro scappano, perché non ce la fanno più, e arrivano a casa nostra a chiedere aiuto.
Allora ci mobilitiamo e scriviamo ai giornali: ma farlo prima?
Provare ad impedire che quelle persone, quegli esseri umani si trovassero nella condizione di dover fuggire disperati dai loro Paesi?
Ora l’Italia rischia davvero di trovarsi a gestire una situazione indubbiamnte problematica e di enorme tensione: ma è un rischio direttamente collegato al fatto che i dittatori, fino a ieri, sono stati considerati con totale indifferenza (e in qualche sciagurato caso, con esagerata simpatia).
I dittatori, gli sfruttatori, i torturatori sono stati considerati “capi di Stato” da riverire e con i quali fare affari: e nessuno di noi ha trovato nulla da ridire.
Ma se vogliamo essere “popolo sovrano” e avere poteri decisionali sull’accoglienza, allora dovremmo vergognarci profondamente di non aver esercitato neppure un briciolo di questa sovranità per dire a chi ci governa che non soltanto fare il baciamano a un dittatore (caso più eclatante), ma anche coltivare interessi in comune, fare affari, inciuciare con gente di tal fatta non era accettabile.
Se egiziani e libici oggi si accalcano a Lampedusa, se la Liguria è chiamata – del tutto giustamente – a fare la sua parte per dimostrare che l’Unità d’Italia è reale e funzionale, e non è solo un’utopia da celebrare, è colpa di chi ha scatenato le guerre, ma è anche colpa di chi ha sempre fatto finta di niente.
Perché la loro disperazione di oggi è anche figlia della nostra indifferenza di ieri.