Un anno.
Un anno oggi dalla scomparsa di Luca Salvatico, residente a Murialdo, un lavoro tranquillo da infermiere al Santa Corona.
Il 22 marzo 2010, improvvisamente, Luca scompare nel nulla.
Sulla strada tra Bardineto e Toirano, in località Carpe, viene ritrovata la sua Toyota, contro una roccia: il finestrino è abbassato, il motore è spento ma il quadro elettrico è acceso. Sul sedile ci sono i documenti e due cellulari, abbandonati. Sul lunotto anteriore, piccole macchie di sangue: dopo gli accertamenti dei Ris, si scopre che il sangue è di Luca.
Da allora, di lui non si hanno più notizie.
E’ un giallo che per giorni appassiona tutti, riempie le pagine dei media, arriva a “Chi l’ha visto”. Appaiono e scompaiono le ipotesi più disperate. “E’ stato interrogato un collega”… no, notizia falsa. “Forse la scomparsa si può mettere in relazione con un traffico di armi nell’imperiese”… no, notizia smentita.
La storia di Luca, come sempre accade, pian piano finisce nel dimenticatoio.
Forse è normale, forse questa è la vita, forse è solo la nostra società in cui un pizzico di cinismo, a volte, serve solo a sopravvivere: a non pensare che domani potrebbe accadere a te, a uno dei tuoi cari.
Non dimenticano, però, gli amici. Non dimenticano la moglie, i parenti, che aprono un gruppo su Facebook: “Cerchiamo Luca Salvatico”. E ogni giorno continuano a scrivergli, a chiedergli di dare notizie, di tornare.
Per loro il tempo non è passato.
Per loro rimane una sola certezza: “Siamo sicuri che qualcuno sappia – ci dice Maria Chiara Salvatico - e quel qualcuno deve parlare, lo imploriamo di parlare. Tanto prima o poi la verità verrà fuori, ed è già passato troppo tempo...non è comprensibile quello che si prova nell' attesa del nulla”.
Ha ragione: non è comprensibile.
Ci rendiamo tutti conto che l’incertezza, il non sapere, sono la tragedia peggiore che si possa vivere: ma chi non ha mai vissuto una situazione simile non potrà mai capirla fino in fondo.
Possiamo immaginare, possiamo provare a capire: ma non è la stessa cosa che “capire” davvero.
Ora, dalla pagina di Facebook, qualcuno ha lanciato l’idea di creare una fondazione per raccogliere i soldi necessari a pagare un investigatore privato. Perché “per lo Stato ormai Luca è un disperso come un altro”, dicono. E probabilmente hanno ragione.
“Un anno – scrive Annalisa Salvatico in un commento – è solo un’unità di misura”.
Quanta verità in queste parole.
Un anno è un’unità di misura, ma i sentimenti non si possono misurare.
La vita va avanti (per gli altri), il lavoro va avanti (per gli altri), arrivano nuovi casi da seguire, nuovi temi da approfondire (per gli altri, compresi giornalisti, forze dell’ordine e tutti coloro che, un anno fa, dedicavano a Luca tutte le loro giornate). E’ normale che succeda, è straziante che succeda per chi c’è ancora dentro.
Per chi aspetta ancora.
E se qualcuno, come chi scrive, ha pensato per un secondo una cosa bruttissima (e cioè: “Ma perché aspettare un anno, prima di avere l’idea dell’investigatore privato? Perché non farlo subito, quando il suo lavoro sarebbe stato sicuramente più facile”?), è proprio perché noi siamo “gli altri”.
Quelli per cui un anno è passato davvero, ed è stato lungo. Quelli per cui Luca era solo un nome sui giornali. Per chi gli voleva bene, invece, un anno è quasi inesistente. Chi Luca ce l’ha nel cuore, si aspetta ancora di vederlo tornare. Come se fosse ancora “quel” 22 marzo e non un altro.
E fa bene, forse, a tentare ancora, con qualsiasi mezzo, perché la speranza non può e non deve morire.
E il tempo, in fondo, è solo un’unità di misura.