Nel reparto guidato dalla direttrice Anna Maria Guerrieri, le famiglie sono chiamate a collaborare alle cure del congiunto con la loro presenza consapevole all’interno del compartimento.
“Le aspettative, oltre ogni limite, dei familiari che a volte non coincidono con le nostre convinzioni, generano all’interno del team sanitario uno scontro emotivo-culturale-emozionale, da cui derivano ansie, malumori, frustrazioni e quindi uno stato di stress continuo, definito come sindrome del ‘burn out’, ovvero la demotivazione del personale”, spiega la dottoressa Guerrieri.
Oggi le cose sono cambiate, e le notizie sono positive per visitatori e operatori medico-sanitari. “Adesso è stata finalmente acquisita la consapevolezza che il paziente e non la sua malattia, deve essere posto al centro del nostro percorso lavorativo: la persona ricoverata, quindi, come essere umano nella sua interezza è inserito in un contesto socio-affettivo – aggiunge Claudio Vaira, responsabile di Terapia Intensiva - . Da queste premesse, si è deciso di partire con un progetto di umanizzazione delle cure intensive, con l’obiettivo per noi di ritrovare la dimensione umana del nostro lavoro e per le famiglie di collaborare alla cura del loro congiunto con una presenza più continuativa e consapevole all’interno del reparto”.