Prende il via domani, nella libreria Ubik di Savona, la mostra fotografica "Il carbone, la prima minaccia per il clima del Pianeta", organizzata da Greenpeace Italia
Il carbone è il primo nemico dell’equilibrio climatico del Pianeta: oltre un terzo delle emissioni mondiali di CO2 si devono all’uso di carbone, che è il combustibile fossile con le più alte emissioni specifiche di gas serra, circa il triplo del gas.
La battaglia per salvare il Pianeta dalla crisi climatica è dunque una battaglia contro il carbone. Tuttavia, agli attuali tassi di sviluppo, le emissioni dalla più sporca fonte fossile sono destinate ad aumentare del 60% al 2030. Se così fosse, non avremo alcuna speranza di limitare gli effetti più devastanti e irreversibili dei cambiamenti climatici!
Il momento di intervenire è ora, e il carbone è alla base del problema. Ogni nuova centrale a carbone (o ogni ampliamento, come per il caso di Vado Ligure) è un atto contro la sopravvivenza della vita stessa sul Pianeta.
Occorre abbandonare al più presto la nostra dipendenza da questo combustibile fossile, a favore di una rivoluzione energetica basata su fonti rinnovabili ed efficienza energetica.
In tutto il mondo gli uffici di Greenpeace sono dunque impegnati in attività contro l’apertura di nuove centrali, e nel denunciare i danni causati dal carbone. Dall’estrazione alla combustione, il carbone è causa di impatti devastanti per l’ambiente e per la salute delle persone. Ad esempio in Cina si stima che la combustione del carbone sia la prima fonte di inquinamento atmosferico, responsabile di 350-400 mila morti ogni anno. L’industria del carbone non sta sostenendo i costi economici di questi impatti, che ricadono sulle comunità locali e sulla società in genere.
Nel rapporto “I Veri Costi del Carbone” Greenpeace ha messo ben in evidenza che il carbone è il combustibile più economico solamente perché il suo prezzo di mercato non comprende i “costi esterni” connessi ai gravi impatti per l’ambiente e per le persone, ma solo i costi legati all’estrazione del minerale, al trasporto, tasse e profitti. (LINK al rapporto TCC)
I gravi impatti non si devono solo alle emissioni di gas serra, ma comprendono anche la deforestazione e la distruzione di interi ecosistemi per le miniere, la contaminazione di suoli e di acque superficiali e di falda, la violazione di diritti umani sia dei lavoratori che delle comunità che vivono nei pressi delle miniere di estrazione del carbone, i prodotti di scarto delle lavorazioni che veicolano nell’ambiente composti tossici come mercurio e arsenico.
Se tutti questi “costi esterni” venissero conteggiati nel prezzo di mercato del carbone, la convenienza economica di realizzare nuove centrali verrebbe meno, a vantaggio delle fonti rinnovabili. Il rapporto di Greenpeace stima che i costi esterni del carbone sono ammontati a circa 356 miliardi di euro nel 2007.
Nonostante questo, l’industria del carbone sta tentando di presentare il carbone come “pulito”, sostenendo che sarebbe possibile, con tecniche di “cattura e stoccaggio” (CCS), confinare le emissioni di CO2 sottoterra. In realtà stoccare la CO2 sottoterra è solo un’illusione. Il CCS è una tecnologia estremamente costosa, rischiosa e immatura, e non potrà essere commercialmente disponibile prima del 2030. Fino al 2030 il “carbone pulito” rimarrà una sporca bugia per consentire la costruzione di centrali che continueranno a emettere CO2 per i prossimi vent’anni.