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Eventi | 15 dicembre 2015, 18:50

Albenga: la tragedia dell’affondamento della Anna Maria

Roberto Nicolick racconta la storia dell'Ospedale

Albenga: la tragedia dell’affondamento della Anna Maria

Il 16 luglio 1947 , ricorre un anniversario, terribile , che e’ opportuno ricordare, rinnovando il pensiero e la pietà per quel fatto , circa 70  anni fa, in quel giorno maledetto, un martedì,  intorno alle 18, davanti alle spiagge di Albenga, morirono annegati quarantaquattro  bimbi, tutti maschi, di una età che andava dai soli quattro sino agli otto, provenienti  quasi tutti dalla Lombardia e dal Veneto.

Fu una tragedia di portata enorme, che colpì nell’anima, migliaia di persone, sia  vicine e che  lontane dal luogo del disastro.
Assieme ai poveri bimbi, perirono anche quattro adulti, presenti sul barcone.

Ottantun bimbi, tutti maschi, appartenenti alla Colonia della Solidarietà Nazionale, di Loano, si imbarcarono nel pomeriggio del 16 luglio, sulla motobarca Anna Maria, per effettuare una gita all’isola della Gallinara. La mattina stessa, le bimbe avevano effettuato la stessa gita con lo stesso natante, senza alcun problema e ora toccava ai bimbi. Sull’ imbarcazione l’atmosfera era allegra e distesa.

I bimbi erano eccitati per la gita in mare sopra una imbarcazione che loro vedevano come una grande nave,  per loro era una occasione inusuale ed eccezionale.

Il barcone, lungo una decina di metri, salpò dal porticciolo turistico di Loano, in direzione della costa Ingauna, transitando davanti a Borghetto Santo Spirito, Ceriale, e arrivando a costeggiare Albenga, davanti alla Regione denominata “Burrone” in vista della meta, la Gallinara, che i bimbi entusiasti volevano vedere da vicino.

L’imbarcazione al comando di Angelo Podestà, costeggiava ad una distanza di circa 30 metri da riva, dove il mare era profondo tra i 9 e i 10 metri., i bimbi cantavano in coro, mentre la navigazione proseguiva senza problemi. Ma il pericolo era in agguato sotto forma di un palo di sostegno della fognatura, il ferro lungo circa 6 – 7 metri, era ad un metro circa dalla superficie del mare,  completamente  invisibile nell’alta marea e visibile durante la bassa, quindi tutti erano a conoscenza di questi pali che erano infissi sul fondo di fronte alla spiaggia in località Burrone. Chi era alla guida della imbarcazione non vide oppure non si ricordò della esistenza dell’ostacolo. A poppa un giovane bagnante lombardo intratteneva i piccoli suonando con una fisarmonica e facendoli cantare.

La barca, era , forse, sovraccarica, rollava e beccheggiava vistosamente. Appena giunta nello specchio acqueo , davanti alla Regione Burrone di Albenga, alle 18 circa , la Anna Maria, colpì violentemente  con la chiglia, di prua, l’estremità della  putrella, sommersa che assieme ad altre sorreggeva un condotto fognario rimosso nel 41. Per motivi di difficoltà tecniche non tutte vennero tolte e questa che era isolata dalle altre, fu fatale,  aprì  una falla circolare di grosse dimensioni entro cui cominciò a riversarsi da subito, una grande quantità di acqua, compromettendo immediatamente l’assetto del natante.

Il rumore molto forte dell'urto venne percepito dai bimbi che si spaventarono. Per la collisione la barca, sobbalzò, i bimbi terrorizzati  si spostarono in massa verso poppa, mentre la barca dalla falla provocata dal palo, imbarcava velocemente acqua inclina dosi pericolosamente e iniziando ad affondare. A seguito della inclinazione i piccolissimi passeggeri, in preda al terrore, cadevano a grappoli in mare. In circa un minuto la barca affondò e raggiunse il fondale sabbioso, adagiandovisi sopra mentre sulla superficie del mare si allargava una chiazza di nafta frammista a travi, bidoni e soprattutto bimbi che tentavano disperatamente di galleggiare, aggrappandosi ai relitti.  La corrente molto forte in quel punto allontanava i corpicini dalla riva.

La quasi totalità dei bambini erano incapaci di nuotare,  la confusione e il panico completarono la catastrofe. Dalla spiaggia prospiciente, due ragazzi dopo essersi accorti della situazione si tuffarono  in soccorso, fu un gesto eroico, ma erano solo due giovani e decisamente insufficienti alla gravità della situazione .Inoltre si appurò che sulla barca erano presenti solo tre salvagente!

Intanto  la voce dell'affondamento si sparse in Albenga, tutti lasciarono le loro incombenze quotidiane per correre sul luogo del disastro,  i commercianti abbandonarono i negozi, gli impiegati gli uffici, il tam tam arrivò anche nell’immediato entroterra, di slancio  decine di persone si tuffarono  nuotando, freneticamente  verso la barca oramai coricata sul fondo, per riportare in superficie i piccoli. Anche le ambulanze della Croce Bianca e gli automezzi dei Vigili del fuoco confluirono sulla riva più vicina al punto del naufragio per portare il loro contributo.

Un testimone raccontò che il fondo sabbioso  era tappezzato di corpicini inanimati, disseminati ovunque , alcuni erano avvinghiati disperatamente ai pochi adulti presenti sulla barca, che ovviamente erano stati trascinati anche loro sul fondale senza poter fare nulla per i piccini.
Fu una gara di solidarietà . Sembrava una gara di nuoto, solo che la posta era le vite di decine di bimbi, dalla città si vedevano  uomini nuotare velocemente giunti in un posto, unico per tutti, si immergevano per cercare di trovare i piccoli , ne afferravano uno o due per volta in una gara disperata contro la morte, riemergevano e li trascinavano a riva dove altri afferravano i corpicini e praticavano loro la respirazione artificiale e la compressione toracica, il tutto avveniva freneticamente come in una catena di montaggio.


Alle 19 i soccorsi erano terminati con un bilancio terribile, ben 44 bimbi , su 81, erano annegati, oltre a 3 adulti.

La tragedia, segui’ la solita scansione: i corpicini furono composti nella sede della Croce Bianca di Albenga, arrivarono il giorno dopo i genitori per il riconoscimento: gli abitanti di Albenga, fecero a gara per la  vestizione delle piccole salme, molti di loro vennero vestiti con gli abiti della prima comunione destinati ai loro figli. Dopo le esequie, le piccole bare bianche, accompagnate dai congiunti, partirono per le loro citta’ di origine, Milano e Verona, dove vennero officiati riti religiosi solenni
L’Italia fu scossa da questo disastro che per l’alto numero di bimbi morti che non ebbe uguali . Vi fu una inchiesta per stabilire le eventuali responsabilità e il 15 gennaio 1951 iniziò un processo che fu definito delle “madri disperate”. Nel corso di una udienza si appurò che l’imbarcazione non era abilitata per il trasporto di persone ma solo per la pesca. Undici persone furono rinviate a giudizio per naufragio e omicidio plurimo colposo furono presenti  22 avvocati tra parte civile e difesa, 60 testi resero la loro testimonianza, in seguito la parte civile non si presentò alle udienze sucessive perché tacitata con alcune decine di milioni di lire dell’epoca.

 I nomi di tutti coloro che persero la vita in quella catastrofe, sono stati scolpiti nel monumento funebre, di Giacomo Manzù, al Cimitero Maggiore a Milano: un bassorilievo in bronzo che raffigura Gesù circondato dai bimbi, con una  frase significativa del Vangelo di Matteo “Lasciate che i piccoli vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli”, mentre ad Albenga nel 2012, fu eretta una edicola con i nomi delle vittime e una madonnina che guarda verso il punto dove ci fu il naufragio.

cs

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